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In questo libro viene presentata, nell'accurata traduzione di Aldo Gargani e Barbara Agnese e con un'introduzione dello stesso Gargani, una pubblicazione postuma di scritti wittgensteiniani, originariamente uscita in Inghilterra in due volumi separati (Blackwell, 1982, 1992) e contenente alcune delle ultime annotazioni scritte da Wittgenstein nel periodo conclusivo della sua vita. Il primo volume manifesta il suo contenuto già nel titolo scelto dai curatori, Studi preliminari alla "Parte seconda" delle "Ricerche filosofiche". MSS 137-138 (1948-49); si tratta appunto di manoscritti da cui Wittgenstein trasse il dattiloscritto originariamente pubblicato dai suoi esecutori testamentari come parte seconda delle Ricerche filosofiche (Einaudi, 1967). Il secondo volume, L'interno e l'esterno (1949-1951), contiene invece annotazioni dai manoscritti wittgensteiniani di quegli anni, selezionate dai curatori tra altre già precedentemente pubblicate postume (Della certezza, Einaudi, 1978; Osservazioni sui colori, Einaudi, 1981), per l'affinità tematica colle annotazioni della prima parte. (Non si finirà mai di stupirsi per questa bizzarra forma di pubblicazione del Nachlass wittgensteiniano, che ingenera vieppiù nel lettore la fuorviante idea che i volumi usciti corrispondano a opere diverse che Wittgenstein progettava effettivamente di stendere.) Per chi abbia presente la seconda parte delle Ricerche filosofiche, la prima parte di Ultimi scritti (il primo volume dell'edizione inglese) si presenta come una ghiotta occasione per vedere il filosofo alle prese colla costruzione dei suoi stessi pensieri. Opportunamente depurate, molte delle osservazioni qui contenute ricorrono infatti proprio in quel testo; ciò che non ricorre si può considerare come formulazione allo stadio di abbozzo o come materiale di cui Wittgenstein, nel continuo e quasi ossessivo ritornare sugli stessi temi, non si sentiva soddisfatto. Preoccupazione dominante di Wittgenstein è evitare di ricadere in quel mentalismo che fin dalla prima parte delle Ricerche filosofiche aveva brillantemente rigettato, secondo cui gli stati psicologici sono quei fenomeni o processi mentali che solo chi ne fa esperienza sa di avere. Per Wittgenstein, ciò che avviene nella testa di un individuo quando questi pensa a o intende qualcosa sono solo fenomeni concomitanti del pensare o dell'intendere (I, §§ 97, 108, 315, 317). Solo l'analisi concettuale, con cui rintracciamo la grammatica, il modo in cui impieghiamo i termini con cui parliamo di tali stati, impedisce tale ricaduta: "io sono alla ricerca della differenza grammaticale" (I, § 395). Questo è particolarmente vero nel caso di quella classe di eventi mentali che va sotto il nome di vedere qualcosa come qualcos'altro: "qui abbiamo una quantità enorme di fenomeni tra loro imparentati e di concetti possibili" (I, § 581). La seconda parte del libro (il secondo volume dell'edizione inglese) si concentra sulla dissoluzione della falsa dicotomia interno/esterno che sostiene il mentalismo psicologico. Non ha senso dire che l'interno altrui ci è nascosto, se con questo si vuole alludere a una contrapposizione tra stati mentali inaccessibili dalla prospettiva della terza persona e processi comportamentali esterni pubblicamente osservabili (II,
recensioni di Voltolini, A. L'Indice del 1999, n. 02
p. 189). C'è solo un'asimmetria nel gioco linguistico (II, p. 191) tra l'auto- e l'etero-ascrizione di uno stato psicologico; la seconda, non la prima, si può sensatamente sottoporre a dubbio. Che si possa dubitare del fatto che un altro abbia quello stato psicologico che mostra (o dice) di avere, d'altronde, non significa né che poi se ne dubiti davvero (II, p. 188), né che sia sempre legittimo farlo. Supporre ad esempio che l'altro stia simulando non è sempre appropriato; la simulazione, infatti, presuppone "un modello di vita relativamente complesso" (II,
p. 195), "un bambino deve essersi sviluppato molto, prima di poter simulare, deve avere imparato molte cose, prima di fingere" (II, p. 196). Così, che cosa è sensato e che cosa non è sensato fare nel gioco linguistico dell'etero-ascrizione di stati psicologici (nel caso in questione, dubitare degli stati altrui) dipende dall'esistenza di certi fatti della vita umana. Le annotazioni di Wittgenstein si concludono con la costatazione che una siffatta dipendenza è propria dei giochi linguistici in generale; ad esempio, se solo mutassero certi fatti della vita, se, poniamo, non ci fosse accordo sui giudizi sulla correttezza dei calcoli, le stesse asserzioni matematiche potrebbero essere "logicamente" caratterizzate dalla stessa incertezza che "logicamente" qualifica le nostre etero-ascrizioni psicologiche (II, p. 245; vedi anche I, §§ 928-9, II, pp. 181-2).
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