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Nelle dieci canzoni che compongono il volume, specialmente ne L' inverno che viene e in Assolo di Luna, Laforgue si cimentava in uno stile pionieristico, di ampio respiro, musicalmente liberante, ricco di sonorità nitide, richiamandosi in parte al verso lungo di Walt Whitman, che era stato il primo a tradurre in Francia. Il giovane Jules era consapevolmente orgoglioso di essere un precursore, difficilmente associabile alla produzione coeva dei letterati parigini, secondo quanto scrisse in Simple Agonie alludendo a se stesso: “Venuto troppo presto, ripartì senza scalpore”. Nella sua appassionata introduzione, Francesca Del Moro – dopo l’accurata ricostruzione biografica – offre al lettore una chiave interpretativa della poesia laforgueiana non solo situandola cronologicamente nel cupo periodo della repressione della Comune, ma anche analizzando la linfa intellettuale di cui si era nutrita, in una cultura allora dominata dal determinismo storico, dall’evoluzionismo darwiniano, dal naturalismo in letteratura e dall’impressionismo in pittura. Un crogiolo di nuove idee e di sperimentazioni formali, in cui Jules Laforgue cercò tenacemente un proprio originale percorso, alimentato da un’angoscia esistenziale acutamente trasformata in elegante e arguto umorismo. Gli interessi scientifici e filosofici lo orientavano verso un pessimismo cosmico che investiva qualsiasi aspetto delle relazioni umane, comprese quelle sessuali. Fu soprattutto nelle scelte formali che si compì la sua volontà anarchica di liberare la poesia dai vincoli che la ancoravano al passato, attraverso la disarticolazione delle strutture metriche tradizionali, l’utilizzo di ipermetri e ipometri, e versi liberi, dilatati fino all’eccessivo alessandrino. Particolarmente meditato fu l’impiego di un ricco ordito sonoro, modulato con rime stravaganti, numerose assonanze e allitterazioni e onomatopee, per evidenziare la sua nuova fede nella musicalità del testo poetico.
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