Tre sono i bersagli del libro di Ercolani, docente di filosofia e teoria e tecnica dei nuovi media all'Università di Urbino. Il primo è la fede liberista (da Mandeville e Adam Smith a Hayek e Milton Friedman) nella capacità dei meccanismi del mercato di massimizzare il benessere a vantaggio di un numero crescente di individui, ideologia smentita non solo dalla realtà dell'esclusione e dello sfruttamento di grandi masse, ma anche dall'intervento dei pubblici poteri nei processi economici, dal ruolo dello stato nell'"accumulazione primitiva" raccontata nel Capitale, alle politiche protezionistiche e imperialistiche, a quelle keynesiane. Secondo l'autore, la ripresa virulenta dei dogmi del liberismo nel periodo thatcheriano e reaganiano caratterizza tuttora il "fondamentalismo del mercato" (Stiglitz) dell'economia globalizzata. Oggi come ieri il capitalismo ammanta di nobili scopi universalistici guerre di predominio geopolitico e di accaparramento di materie prime (un capitolo è dedicato alle guerre in Afganistan e in Iraq). Ercolani dà anche conto, rapidamente, di posizioni diverse, come il liberalismo sociale di Hobhouse. Ma in generale in sintonia con la Controstoria del liberalismo di Domenico Losurdo (Laterza, 2005) è mosso dall'"esigenza di un controcanto critico rispetto al quasi unanime consenso, e alla totale assenza di sistemi alternativi, di cui gode il liberalismo economico". Il secondo bersaglio polemico è la Rete, che sembra dare agli utenti un ruolo attivo e interattivo, con l'accesso a una quantità sterminata di informazioni e a una comunicazione illimitata che supera le barriere spazio-temporali. In realtà come dicono Tomás Maldonado, Manuel Castells e tanti altri siamo isolati di fronte al computer, sottoposti a un bombardamento di stimoli in cui spesso è difficile separare realtà e irrealtà, vero e falso, informazione e pubblicità. Soprattutto, vengono deformate le facoltà umane fondamentali di percepire e pensare l'esperienza secondo nessi logici e causali, in coerenti visioni d'insieme. Rispetto a chi crede nelle potenzialità democratiche del web, Ercolani sottolinea poi i rischi di un potere pervasivo e insidioso: "dalla democrazia alla mediacrazia". Come c'è una religione del mercato c'è anche una religione della Rete: "Ci troviamo di fronte all'ennesimo episodio di delega, da parte dell'essere umano, di tutti i suoi poteri a un'entità ritenuta superiore che, nel momento stesso in cui lo dispensa dalle fatiche di un'esperienza diretta e responsabile del proprio mondo, consente a una ristretta minoranza di individui di esercitare un potere tanto nascosto quanto totalitario". Il sentimento religioso, interpretato antropologicamente come alienazione e "nevrosi ossessiva", attingendo da Feuerbach e Freud, ma anche da Montaigne e Leopardi, trova sempre nuovi idoli per scongiurare la precarietà e la morte. Attraverso questi collegamenti, il saggio prende posto con una sua fisionomia particolare nella corrente filosofica che denuncia il dominio della tecnica, lo svuotamento della democrazia, la mercificazione universale. Nel secolo scorso Günther Anders, spesso citato da Ercolani, ne fu una figura di riferimento. Ma Anders era più conseguente: la supposta pervasività della "megamacchina" indurrebbe più al "principio disperazione" che alla speranza in un "nuovo umanesimo", auspicato alla fine dall'autore. Cesare Pianciola
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