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Libro in perfette condizioni, copertina flessibile con risvolti
È una bella disputa, quella che Guerrieri ha impiantato con se stesso. La disputa di chi crede fermamente, fortemente, nel valore fisico della parola, nella ricerca attenta del suono che dietro di sé lascia la parola scritta, e però si trova poi a dover fare i conti con la lettura che gli altri danno, di questa parola, come se la sua fisicità le imponesse un destino obbligato, che la strappa senza alcuna eco dalla pagina e la consegna in ostaggio al racconto parlato. Lui continua a sostenere che no, che questo libro è proprio narrativa, che è esercizio curato, riflessivo, di scrittura, che il ritmo, la metrica, la scansione delle frasi, le pause (suggerite, o anche implicite) sono lo strumento espressivo d'una forma di comunicazione che si radica nella pagina e nella pagina consuma la propria storia.
Eppure, fin dal primo "travestimento", quello di/su Gadda, la lettura sembra trasportarsi subito su un altro piano, che non è più quello della pagina scritta, e si sente, invece, che le parole hanno un loro suono quasi autonomo, che sono come sfuggite allo schema dell'autore e si impongono con una naturalezza irresistibile alla concretezza materiale della voce recitante.
Il libro è fatto di quattro "travestimenti", quattro monologhi che - attraverso l'artifizio d'una ricostruzione quasi filologica - ricuperano la storia e la vita di alcuni grandi protagonisti della scena culturale del Novecento. Sono Carlo Emilio Gadda, Emilio Salgari, Sibilla Aleramo e Samuel Beckett: storie e vite nelle quali sarebbe assai difficile trovare un filo comune d'identità, se non fosse per quella religione del dolore, quell'angoscia del vivere, che i quattro si portano dentro e che traspare poi, sempre, sullo sfondo del loro lavoro.
Guerrieri ha preso lo spunto - come lui stesso confessa in poche righe nell'apertura - da una committenza assegnatagli da Pietro Carriglio, una sorta d'invito a rovistare nei cassetti della scrittura per scoprirvi, magari, qualcosa d'interessante. E lo spunto fu Beckett, una rilettura della sua opera con la memoria di quella registrazione di Krapp, quell'"ultimo nastro" che nella fascinazione d'una voce senza identità, una voce che cala dal silenzio imperscrutabile del passato senza più tempo, segna però in un flash agghiacciante il riassunto d'una vita. Anche qui, nel "travestimento" di Beckett, un nastro rinvenuto casualmente da una cameriera racconta amaramente le ultime memorie del drammaturgo che parla già dall'aldilà. C'è poi il "travestimento" d'un Gadda che si concede all'intervista d'un giovane giornalista, il "travestimento" di Sibilla Aleramo che racconta dell'imminente incontro con l'ultimo suo amante, e però ha il pensiero che corre inarrestabile verso la passione per Dino Campana, e il "travestimento" infine della moglie di Salgari che - chiusa dietro le sbarre del manicomio - confessa tutto il suo disperato amore per il "capitano" del cui suicidio è stata appena informata dall'infermiera Anna.
L'interesse di questa operazione sta anche nell'intreccio biografico che racconta ognuno dei quattro protagonisti, intreccio condotto con un'attenta ricognizione di tutte le fonti letterarie e cronachistiche che li concernono; ma sta soprattutto nella mimesi filologica della lingua dei quattro monologhi, che con vezzi, cadenze, modi verbali, dialettismi si piega a ricostruire dentro profili davvero riflessi in uno specchio l'identità "autentica" della voce narrante. E la disputa? Mah, l'impressione è che Guerrieri vi sia stato battuto, vincendo.
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