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Ultramar. L'invenzione europea del Nuovo Mondo
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Ultramar. L'invenzione europea del Nuovo Mondo - Aldo A. Cassi - copertina
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Ultramar. L'invenzione europea del Nuovo Mondo

Descrizione


La Conquista del Nuovo Mondo fu l'opera di un Giano bifronte, un balletto sul filo del cinismo e dell'utopia. Di fronte all'enormità della scoperta, gli europei rimasero letteralmente senza parole. La Natura americana e la Cultura europea sembravano irrimediabilmente incommensurabili. Tutti gli aspetti del Nuovo Mondo richiedevano una definizione appropriata, che le categorie concettuali europee non erano in grado di fornire, se non per approssimazione: l'oceano venne provvisoriamente chiamato 'Mar tenebroso', il puma fu battezzato 'Icone di montagna', gli stessi indigeni furono chiamati 'indios', anche se non si trattava nemmeno lontanamente di abitanti delle Indie. Per 'prendere' il Nuovo Mondo, prima di tutto bisognava 'comprenderlo' e i soli che avessero le parole giuste per farlo, gli stregoni delle nuove terre, erano i giuristi. La cultura giuridica fu insomma il sistema di comunicazione, l'interfaccia tra il Vecchio Mondo medievale e il Nuovo Mondo la cui scoperta inaugurava l'età moderna. Abituati per mestiere ad avere orrore delle approssimazioni, i giuristi iniziarono a distinguere, a discutere, a definire. Questo libro ripercorre la storia di quelle parole e del loro potere demiurgico e distruttivo.
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Dettagli

2007
5 luglio 2007
XII-200 p., ill. , Brossura
9788842083702

Voce della critica

Come ha scritto Todorov, la scoperta dell'America "annuncia e fonda la nostra attuale identità". Quello spazio a cui Pietro Martire d'Inghilterra e Amerigo Vespucci diedero l'appellativo di Mundus Novus – per l'abbacinante alterità "geografica, botanica, zoologica, antropologica" con cui l'Europa si trovò a confrontarsi – è stato teatro di trionfali approdi, "cosmografie spettacolari" rappresentate da personaggi come lo stesso Vespucci, Hernán Cortéz, Vasco Núñez de Balboa, oltre – ovviamente – a Cristoforo Colombo e tutti gli altri esploratori che seguirono. L'America rappresentava la donna, la vergine, l'alterità selvaggia e attraente che impauriva e, pertanto, andava addomesticata e scritta entro forme e significati del tutto nuovi che hanno segnato l'inventio (proprio come scoperta e, insieme, invenzione) del territorio conquistato, fondendo la memoria del passato con la meraviglia dell'inedito.
Nel saggio, Cassi parte dalla suggestione storica e antropologica di questo incontro per approfondire i rapporti tra europei e nativi americani secondo le testimonianze e i documenti giuridici che ne hanno seguito dinamiche e sviluppi, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti più controversi dell'opera di evangelizzazione e dei rapporti di potere sottesi alla conquista. Il fascino dell'impresa, il miraggio delle ricchezze e, soprattutto il rapporto con gli indios rappresentano in questo senso gli snodi più significativi. Il supporto dei testi giuridici e religiosi completa l'indagine etnografica e letteraria e fornisce tasselli importanti anche per la conoscenza storica.
Attingendo alle biblioteche e agli archivi di Siviglia, Madrid e Lima, Cassi consulta direttamente una grande quantità di fonti, manoscritte, normative e dottrinali, che contribuiscono a chiarire molteplici questioni: quale diritto fosse esercitato "oltre le colonne d'Ercole" e come fossero definiti e trattati, giuridicamente, la "nuova natura" e le "nuove popolazioni"; l'origine e lo sviluppo delle encomiendas (e le forme di assoggettamento che le regolavano); il concetto di "guerra giusta" (bellum iustum) elaborato dalla scienza giuridica e dalla teologia morale; come si allestì, per gli indios, quell'inferno costituito dalla ricerca e dallo sfruttamento dei "tesori" più remunerativi per gli europei: "perle, oro e coca"; ma anche le voci di ribellione e di denuncia che contribuirono a cambiare le cose e a rendere i rapporti tra europei e naturales più fluidi e reciprocamente fecondi. Alle parole di José de Acosta, che raffigurava gli indigeni come "a mala pena uomini" o "uomini a metà", e di López de Gómara, che li dipingeva come cannibali e sodomiti, "asini, stupidi, pazzi, insensati", si contrappongono le feroci profezie di Las Casas, le denunce di tutti coloro – come Domingo de Santo Tomás, delegato della commissione imperiale in Perù per il problema delle encomiendas – che vedevano nello sfruttamento di queste popolazioni un vero e proprio sacrificio degli spagnoli al loro dio. Punti di vista come questi mettevano fortemente in discussione principi come quelli delle Ordenanzas de buen gobierno, emanate il 20 marzo 1524, in cui Cortéz dispose che gli encomenderos possedessero armi in quantità sufficiente per mantenere l'ordine e che fosse proibito ai nativi il culto degli idoli, nonché affidati i loro figli ai frati per ricevere un'istruzione cristiana.
Naturalmente, occorrerà aspettare la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento per assistere a un allentamento dei rapporti di dominio, e anche per vedere il riflesso di questo incontro proiettarsi più spiccatamente sul vecchio continente. Con l'immagine del libro (giuridico, ma non solo) e dello specchio in cui si riflettono e si confrontano le due civiltà si chiude questo saggio, vergato con la citazione di Antonio de Ulloa nelle sue memorie di viaggio: "Il Nuovo Mondo, che doveva al Vecchio la propria scoperta, gli avrebbe ricambiato il favore con la scoperta, avvenuta in esso [nel Nuovo], della sua [del Vecchio] vera immagine sino ad allora ignota".
  Chiara Lombardi

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