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A. Blackwood è stato un uomo e uno scrittore dalle mille risorse, ci ha lasciato romanzi, racconti, opere teatrali. Oggi si leggono ancora "I salici" e "Il Wendigo", con gran diletto degli appassionati del soprannaturale. "L'uomo che gli alberi amavano", pubblicato nel 1912, è un testo dal piglio filosofico, caratterizzato da uno scavo psicologico dei personaggi non di poco conto. L'edizione Galaad, ben confezionata, è ben tradotta da M. Piumini e introdotta da L. Ambrogiani.
Sono il traduttore italiano di questa edizione del romanzo di Algernon Blackwood, e vorrei rispondere a un punto sollevato da Sandro G, che ringrazio per la recensione: "L'uomo che amava gli alberi" può risultare foneticamente più gradevole di "L'uomo che gli alberi amavano", ma sarebbe una licenza ingiustificata che non renderebbe giustizia all'autore, perché il titolo originale è "The Man Whom the Trees Loved", non "The Man Who Loved the Trees". E il fatto che siano gli alberi ad amare il protagonista è un elemento fondamentale del romanzo.
Letta tanti anni fa se non ricordo male in un vecchio millemondi urania, questa magnifica novella di Blackwood è senza dubbio fra le migliori scritte dall'autore inglese. La sublime atmosfera di un grande maestro, fra senso del meraviglioso e il terror panico che scaturisce dal contatto inconscio con certe forze naturali, e anche se la trama è scarna, priva di azione, come il suo capolavoro I salici, la fascinazione che suscita L'uomo che amava gli alberi (titolo che foneticamente suona molto meglio), incanta e rapisce. Opera come sempre in tutti gli scritti dell'autore, di natura sapienziale, non soltanto semplice immaginazione, ma esperienza spirituale e psichica, trasmessa sotto forma di finzione letteraria.
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