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L'uomo con il sole in tasca - Cesare De Marchi - copertina
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L'uomo con il sole in tasca - Cesare De Marchi - copertina
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Descrizione


L'"uomo con il sole in tasca" è uomo che, pur avendo dominato l'immaginazione del nostro Paese, è diventato solo raramente un personaggio letterario a tutto tondo. Cosa che invece accade in questo romanzo di Cesare De Marchi. Ed è come se l'immaginazione disegnasse uno dei molti possibili esiti della vicenda umana e politica di tanto protagonista. Il presidente del Consiglio viene rapito dalle Nuove Brigate Rosse. Luigi Leandri, vecchio commissario di pubblica sicurezza a Milano ora trasferito alla Direzione centrale della polizia di prevenzione, si occupa del caso. Il presidente, nella sua angusta cella tra strette pareti insonorizzate, passa dalla crisi di claustrofobia alla lucidità analitica, dalla paura della morte all'impazienza. I tre sequestratori discutono animatamente: Cecilia, impulsiva e violenta, vorrebbe processare subito il rapito e ucciderlo; il giovane Mario sembra indeciso; Luca, il capo del gruppo, impone la calma. Si parla di democrazia, di mafia, di realtà virtuale e televisione, e il presidente risponde puntiglioso, a volte scherzoso. Anzi, dopo aver dato prova di abilità dialettica, il presidente è rincuorato, si sente sicuro e affronta l'interrogatorio con una sorta di leggerezza accademica, quasi salottiera, e si convince sempre più di potersi salvare. A Luca promette un diverso avvenire. Leandri è ormai vicino a scoprire il covo dei sequestratori, proprio quando fra questi ultimi si inaspriscono i conflitti. Che futuro ha l'uomo con il sole in tasca?
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Dettagli

2011
10 ottobre 2011
192 p., Brossura
9788807018800

Valutazioni e recensioni

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ant
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Libro strutturato in modo molto intelligente perché, a mio avviso, riesce a coinvolgere ed appassionare il lettore in una duplice chiave di lettura. Infatti in questo romanzo l'autore narra sia di un ipotetico sequestro del Presidente del Consiglio italiano, anche senza nominarlo mai si capisce che si parli di Berlusconi, sia della situazione politica italiana di oggi. L'ansia del rapito, le paure di essere scoperti dei rapitori, le indagini delle forze dell'ordine si mescolano benissimo con l'interrogatorio che deve subire il sequestrato; ed è in questo miscuglio di situazioni che De Marchi fa trapelare sia il lato umano dei protagonisti del libro che la difficile ed ingarbugliata situazione socio politica dell'Italia. Scorrevole ed intrigante, il titolo del romanzo scaturisce dalla convinzione del protagonista di poter ottenere qualsiasi cosa dalla vita

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Voce della critica

  Ricordiamo Charles Foster Kane, il pezzo grosso della stampa di Quarto potere, solo e smarrito nel suo castello di Candalù mentre rievoca in sei lunghi flashback la sua scalata al potere, e il suo declino. Stando alle parole di François Truffaut (che disse di appartenere a una generazione di registi così colpiti dal film di Orson Welles da non poterne più prescindere), potremmo azzardare che qualche scrittore italiano, dopo questo curioso libro di De Marchi, deciderà di occuparsi del signor Berlusconi non già per provocazione interesse o ideologia, ma avendo letto L'uomo con il sole in tasca. Ammesso che pure un romanzo sui generis lo si legga come si legge l'opera di uno scrittore-scrittore, invasi da un demone, e senza troppe speculazioni pensose. Libro, questo, forse complementare al film di Welles nell'esercizio di denudamento senza giudizio del protagonista, eppure del tutto divergente per quel che riguarda la scena dei fatti: non una residenza signorile, nemmeno un luogo d'assemblea, ma uno stanzino di tre metri quadri provvisto di branda e bacile, dove il Presidente del Consiglio viene sequestrato da tre balordi mascherati, sorta di nuove Brigate Rosse decise a sottoporre l'uomo a un processo privato, sebbene ostinatamente definito "popolare". Non un territorio di ricchezza dal quale prendere le distanze, ma una gabbia. Libro, perciò, che sposta l'obiettivo del romanzo politico dalla denuncia sociale alla scomposizione degli elementi sociali, una scomposizione tutta ambigua, certo, e che nel rappresentare il processo a un singolo uomo politico realmente esistente o esistito (seppure non se ne faccia mai il nome) mette in scena tutt'altro più interessante processo: quello del personaggio letterario stesso, le cui relazioni con il personaggio vivente illuminano l'uomo reale a tal punto da cristallizzarlo, da farne un personaggio letterario a tutto tondo. Quasi che il mondo stesso, sia pure perverso e mostruoso, faccia bene alla pagina scritta. Inutile raccontare il plot del libro, diciamo soltanto che il signor B. viene catturato in seguito a una sparatoria e rinchiuso in un appartamento romano, dal quale l'uomo, sconvolto, stanco, indispettito, chiede delle calze di filo di scozia e della biancheria di seta. Verrà interrogato da Mario, Luca e una tanto impenetrabile quanto attraente donna, Cecilia, che ha già deciso di ucciderlo a processo concluso. Sembrerebbe una spy story alla John Le Carré, invece ne scaturisce un vero e proprio dramma attico, un omaggio al Giudeo Tifone che, come nella tragedia, inframmezza ai ricordi del protagonista la descrizione ossessiva del suo corpo: fradicio, unto, accovacciato su se stesso, invecchiato, represso, maleodorante, bisognoso d'acqua e affamato; un re in ascolto che ha abbandonato il trono per il trogolo, eppure sopravvive facendo ricorso all'affabulazione perché sa di essere il primo uomo, l'anti-étranger, il letterario. E non solo punta l'arma del suo carisma contro i suoi aguzzini, ma anche contro lo scrittore del libro, De Marchi appunto. Ed è qui che il romanzo si spalanca alla questione più interessante, è qui che il romanzo si allontana vertiginosamente da molti tentativi letterari in questo senso. Se infatti lo scrittore è il dio davanti alla pagina bianca, ed è genitore dei propri personaggi, quali mezzi dovrà mettere in campo per raccontare un uomo che esiste davvero e che, più di tutto, ha condizionato la vita dello scrittore stesso in veste di civile? Non ci troviamo davanti a una vittima della cronaca nera, non ci troviamo nemmeno davanti a un delitto che ha colpito l'immaginario collettivo e che la letteratura prende in prestito per farne un noir, ma davanti a un protagonista dei nostri anni, Silvio Berlusconi, il cui thriller biografico diventa ben presto – e questo grazie alla penna di De Marchi – un "giallo metafisico" di più amplio respiro, alla Orson Welles; una parabola. Si dirà che la simbologia è acqua passata, che il biografismo contraffatto ha visto il suo splendore in Francia con Marcel Schowb più di un secolo fa; e infatti i punti più forti del romanzo sono quelli in cui il prigioniero rimane da solo con se stesso, vittima di un voyeurismo tanto lontano da quello delle sue televisioni, di un voyeurismo su carta. C'è chi si chiederà perché innalzare ancora una volta, e così smaccatamente, la figura di Berlusconi a personaggio letterario a tutto tondo, ma le colpe di uno scrittore, tanto più se è di razza, sono sempre ingenue. E De Marchi avrà voluto fare questo libro perché ha visto in Berlusconi un Nerone, uno stereotipo della letteratura classica, quel letterario personificato di cui sopra. Perché ha visto in Berlusconi l'altra faccia di Josef K. Due ultime osservazioni-limite: la prima, sul destino del personaggio letterario in questione, che ha qualcosa di originale perché riesce a vincere in ogni modo (e sin dalle prime pagine De Marchi avverte il lettore rispetto alla doppia possibilità del finale: o la vittoria che segue alla liberazione del recluso, o la vittoria del mito che va dietro al suo omicidio); la seconda, per ciò che riguarda la struttura del romanzo in sé, che viceversa si para in faccia due possibilità di perdita: o l'impossibilità di comunicare con un pubblico per scarsità di strumenti, o l'invisibilità della sua struttura e delle sue finalità per la forza emanata dai personaggi messi su carta. Nessuno sa più come salvare la letteratura, nemmeno uno scrittore del calibro di De Marchi, se non altro perché nel caso di questo libro riduce la struttura all'osso, laddove il lettore del Talento e della Furia del mondo si sarebbe aspettato una cornice in più, una complessità narrativa in più, vuoi spostando il punto di vista dall'autore al commissario Luigi Leandri, che segue le indagini con accidia e con mano malferma, vuoi facendone un libro di solo corpo, di sole deiezioni nella solitudine e nell'angustia del bunker. Tuttavia il tranello in cui De Marchi rischia di cadere rinunciando alla complessità narrativa, e quindi cedendo alla struttura doppia del thriller (siamo con il prigioniero, e al capitolo dopo siamo con il commissario che lo cerca), è quello di non permettere ai suoi personaggi, al commissario più che ai rapitori, di posare uno sguardo omogeneo sugli eventi, offuscandone le necessità e le debolezze. Ma troppo alto è ciò che viene scritto per non nutrire il sospetto che l'intenzione dell'autore, in virtù della sua letterarietà, sia ancora una volta anti-romanzesca, e che De Marchi voglia bloccare in un tempo lontano, simbolo di un'èra, tutta l'ombra faustiana di chi, spingendosi con menzogna alla conquista dei grandi imperi, dovrà ammettere di essersene impadronito senza aver conquistato niente. E non è un caso se il leitmotiv del romanzo è l'attesa di una contraddizione: quando l'interrogato-prigioniero si contraddirà? quando sarà possibile condannarlo definitivamente? È una domanda immensa che chiede, tra le righe: quando il genere-romanzo si contraddirà? quando sarà possibile, nella furia del mondo, condannarne definitivamente gli esiti, le intenzioni, le autocritiche? Limitiamoci allora a una lettura istintiva del libro: il procedimento principe che De Marchi opera nel narrare è quello di concentrare l'attenzione di chi legge su una suspense di tipo nuovo, obbligando la curiosità del lettore verso un possibile, ulteriore assolvimento del signor B. o verso una sua definitiva condanna. Due casi che si giustappongono con dolorosa e identica consequenzialità. Alcide Pierantozzi

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Conosci l'autore

Cesare De Marchi

1949, Genova

Cesare De Marchi è nato nel 1949 a Genova, dove ha trascorso la prima giovinezza, e ha compiuto gli studi a Milano laureandosi in filosofia; nella città lombarda ha vissuto fino al 1995, allorché si è trasferito in Germania, dove attualmente risiede. Dal 2003 è presidente della Società Dante Alighieri di Stoccarda. Oltreché come narratore, De Marchi si è fatto apprezzare anche per la sua attività di studioso e traduttore, soprattutto in ambito germanistica. Nel 1998, con Il talento, ha vinto il Premio Campiello e il Premio Comisso e, nel 2006 i premi Frignano e Dessì per La furia del mondo (Feltrinelli 2006). Tra i suoi ultimi romanzi: La vocazione (Feltrinelli 2010), L'uomo con il sole in tasca (Feltrinelli 2012).

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