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C’è chi sostiene che un romanzo, per essere definito bello, leggibile, interessante debba essere lungo almeno duecento, trecento pagine o più, altrimenti non vale neppure la pena di iniziarne la lettura. Ebbene, sono convinta del contrario perché anche in un romanzo breve (o racconto lungo, che dir si voglia) di sole settantanove pagine, si può provare emozione. Ed è quello che mi è capitato con “L’uomo della radura” di Cristina Converso, definito dall’editore stesso “una FIASCHETTA, un formato snello pensato per racconti da leggere in un sorso, è un VERMOUTH, una storia forte, gialla e noir, è un NOVELLO, un testo inedito e contemporaneo”.
Sandra fa la capotreno tra Torino e la Valle di Susa. Evita di guardare la sua “immagine riflessa nei vetri” perché dice: “Non mi piace quell’ammasso ricciuto che mi tiene il cappello sollevato come quello dei clown, odio il mio ingombrante seno, che la giubba d’ordinanza fa balzare all’insù, all’attacco”.
Elisa è una giovane studentessa che Sandra vede sovente e ha notato tra altre decine di studenti. “Eccola lì. Un tantino in ritardo, come sempre. Ultima di un allungato torrentello di adolescenti reduci della mattinata da liceali. Il giubbotto aperto, l’imbottitura pizzicata sotto lo spallaccio dello zaino, richiuso con maldestra attenzione.”
Una fermata forzata del treno è l’occasione che fa incontrare in maniera ravvicinata Sandra ed Elisa, due anime simili che si trovano e superano la barriera dell’imbarazzo e dello scarto generazionale grazie a un racconto di vita che ha tutti i sapori del thriller e del mistero.
L’uomo della radura, Vincenzo, è quello con cui ha vissuto Sandra per anni, che l’ha allevata e che “conosceva alla perfezione le montagne, tutte le montagne […] Lui era la sicurezza. Il lago la libertà. Il frassino la profondità.”
Ma cosa si nasconde nel passato di quest’uomo? Un crimine, un sacrificio o nulla di tutto ciò? A voi scoprirlo.
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