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Il vagabondo. Sociologia dell'uomo senza dimora
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Dettagli

1994
29 aprile 1994
354 p., Rilegato
9788879890618

Voce della critica


recensione di Cartosio, B., L'Indice 1994, n.10

Lo 'hobo', il "vagabondo" del titolo di Nels Anderson, è una figura storica nella società statunitense. È il lavoratore espulso dalla produzione e costretto a vagabondare in seguito alle grandi crisi economiche cicliche dell'ultima parte dell'Ottocento. È il lavoratore migrante, senza lavoro stabile, che sceglie di spostarsi lungo le nervature ferroviarie del paese in cerca di lavori occasionali, prevalentemente nelle campagne al tempo dei raccolti, o nelle miniere o anche nelle industrie, come ultima risorsa. Ben Reitman, figura di spicco tra bohème, politica e ricerca sociale nei primi decenni del secolo a Chicago, propose una distinzione diventata poi canonica: "Lo 'hobo' lavora e vaga; il 'tramp' vaga e sogna; il 'bum' beve e vaga".
Gli 'hoboes' erano guardati con sospetto dalle autorità civili e dalle polizie locali, oltre che per la loro appartenenza d'origine alla classe operaia e per lo spirito indipendente, anche perché, come gli zingari, praticavano l'elemosina e il piccolo furto. Le polizie private delle ferrovie davano loro la caccia, perché viaggiavano a sbafo sui merci. Ma erano anche la loro povertà e marginalità sociale, il loro temuto desiderio di rivincita antiborghese e infine il loro stesso numero a renderli un "problema sociale". Nella realtà odierna, lo 'hobo', il 'tramp' e il 'bum' si sono fusi nella figura dello 'homeless', il senzatetto stanziale, la cui mobilità si limita alle strade e ai sotterranei delle metropoli. E magari, invece, si romanticizza la figura dello 'hobo' del passato attraverso i miti spesso ambigui del nomadismo individuale e della "strada", che perdurano nella letteratura, nel cinema e lungo certi rivoli del pensiero debole. In quanto "problema", lo 'hobo' è sempre stato un problema essenzialmente urbano: non erano gli individui dispersi e in viaggio, ma la loro concentrazione nelle città a destare apprensione. E infatti il classico studio di Nels Anderson ora tradotto, pubblicato nel 1923, venne presentato da Robert Park come "primo di una serie di studi sulla comunità urbana e sulla vita di città". Lo stesso Park indicava anche le radici storiche dello 'homeless' attuale: "L'uomo la cui natura inquieta ha reso pioniere sulla frontiera si avvia a diventare un 'senza casa' - 'hobo' e vagante - nella città moderna".
L'oggetto del libro di Anderson (che Raffaele Kauty ottimamente introduce, collocando lo 'hobo' nella storia e il libro nella "scuola sociologica di Chicago") è proprio lo studio del lavoratore migrante nel suo ciclico periodo di permanenza in città, a Chicago dove, subito dopo la prima guerra mondiale, gli 'hoboes' erano decine di migliaia: da 30.000 nei tempi buoni a 75. ()00 nei tempi difficili, in particolare d'inverno. Diversamente da quanto succede oggi, in città si inserivano in un tessuto relativamente strutturato e funzionale alla loro accoglienza. Intorno a "Burghouse Square" (Washington Sq.) e soprattutto a West Madison Street si trovavano, scriveva Anderson, "alberghi da spendere poco, ricoveri e dormitori, posti dove mangiare, agenzie di collocamento, missioni, librerie di sinistra, strutture assistenziali, istituzioni economiche e politiche" che rispondevano ai bisogni degli 'hoboes' e dei poveri. Burghouse Square era l'area degli "hobo intellectuals" la "cittadella dei poeti più o meno vagabondi, degli artisti, degli scrittori e dei rivoluzionari", era il luogo dove "Bohemia e Hobohemia si incontrano". Mentre West Madison era la casa; sempre nelle parole di Anderson, era per uno 'hobo' quello che "Broadway rappresenta per gli attori americani": il traguardo della sicurezza.
Era così perché il mondo dei migranti era solo parzialmente separato ed estraneo rispetto a quello "sotterraneo" dei proletari e al sottomondo dell'illegalità diffusa. Del resto, Hobohemia era la città nella città che ospitava da 300.000 a mezzo milione di transeunti ogni anno. West Madison era contemporaneamente il suo centro e l'asse di quello che sarebbe stato definito il "famigerato Primo Distretto": locali malfamati, bische e bar dove venivano comprati e venduti migliaia di voti, ma anche rifugio dei senza casa. Un mondo che i benpensanti ignoravano ed evitavano. Fu in quell'ambiente materiale e umano che Nels Anderson si introdusse, da solo e guidato da quel Ben Reitman già citato sopra, ma anche con un bagaglio proprio sulle spalle. Quando quasi quindici anni dopo la pubblicazione di "The Hobo", Bertha Thompson pubbicò la propria autobiografia di vagabonda - "Box-Car Bertha" (Giunti, 1980) scritta insieme con Ben Reitman - raccontò della presenza di Nels Anderson che parlava e che ascoltava nei locali di ritrovo e di formazione politico-culturale degli 'hoboes': "Ricordo soprattutto l'espressione dolce e tollerante che aveva sulle labbra e nella voce quando parlava della vita sulla strada e delle cose che tutti, sia noi che lui, avevamo fatto e ancora facevamo". Dalle parole di Anderson traspare, se non simpatia, un rispetto di fondo per i suoi protagonisti, non importa che oggetto del racconto siano la 'Wanderlust' oppure i comizi improvvisati, la vita sessuale degli 'hoboes', incluse le perversioni di una società quasi esclusivamente maschile, oppure le diffidenze e ruberie reciproche, i tanti problemi di salute o i rapporti con le agenzie di collocamento. A volte la simpatia filtra sotto un velo sottile di ironia.
Fu in questo tipo di esplorazione che la ricerca sociologica fece uno dei suoi passi più significativi fuori dalle mura dell'accademia, lontano dalla sociologia normativa e moralista di inizio secolo. Rauty dà ampiamente conto delle molte anomalie del lavoro di Anderson anche rispetto a quelli di colleghi e maestri dell'Università di Chicago. Attraverso la frequentazione dei luoghi e 400 interviste - di cui rimangono nel libro ampie sintesi - Anderson riesce a illuminare per primo e in modo sistematico quella fetta di mondo. A suo modo, perché nel libro non ci sono formulazioni metodologiche, n‚ modelli astratti. Quello di Anderson rimane un esempio quasi unico di sociologia descrittiva e, potremmo quasi aggiungere, narrativa, sottolinenando lo specifico ruolo di 'conteur' che l'autore riserva per sé.

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