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"Io mi arrabbio perché sono appassionato (...) perché amo profondamente il mio lavoro". Questa dichiarazione ben esprime il temperamento di Enzo Mari, novarese classe 1932, artista, designer, teorico del design; personalità inquieta e poliedrica, ossessionata dalla perdita di sapere complessivo, e dall'ignoranza e tracotanza dilaganti che portano la maggioranza dei progettisti a fare del karaoke (inteso come scimmiottamento privo di creatività) anziché sforzarsi nella ricerca e sperimentazione di nuove forme. Un impegno, questo, che richiede una grande tensione etica, una rimessa in discussione di tutto ciò che è dato per scontato, un'indagine teorica costante volta a comprendere e spiegare, come ci informano i suoi innumerevoli testi. Senza arrivare necessariamente a conclusioni. Come è il caso della parola design. "Valigia senza manico" è una curiosa espressione portoghese utilizzata per definire una persona confusa e prolissa, ci spiega l'autore nella premessa, che parla senza arrivare a formulare definizioni precise, univoche. L'opposto di una persona categorica. Proprio Mari, una delle personalità più rappresentative del design italiano, quasi duemila progetti all'attivo, ci confessa di non sapere cosa sia il design. Il termine, oggi, viene utilizzato in maniera impropria, come un'etichetta, per connotare oggetti attribuendo loro un valore. Questi oggetti sono spesso quelli che Mari definisce "oggetti-vetrina", i quali rispondono a una logica di mercato anziché essere frutto dello sforzo progettuale di far coincidere la forma alla sostanza delle cose, travalicando il puro e semplice apparire. L'autore invece è convinto che "la qualità della vita, almeno per gli aspetti che possiamo determinare, è basata prevalentemente sulla qualità del lavoro svolto da ognuno di noi. Possiamo immaginare un grado di qualità tanto più alto quanto maggiore risulta la progettualità del lavoro". Questo volume, costruito in forma dialogica, indaga il significato dei termini forma, progetto, mestiere; analizza il confronto con il committente e con la società. Riprende il filo di Progetto e passione (Bollati Boringhieri, 2002), in cui scriveva: "Ogni artista sa bene che nulla è più complesso del realizzare la semplicità. La semplicità può essere raggiunta solo attraverso una lunga decantazione di quella ridondanza onnipresente che inquina la nostra percezione".
Chiara Casotti
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