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Il libro affronta con chiarezza e semplicità la situazione storica iconoclastica e pone l'attenzione principalmente sul dibattito tra i sostenitori delle immagini e gli iconoclasti nella graduale affermazione e istituzionalizzazione del diritto di produzione dell'immagine religiosa.
Recensioni
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recensione di Carchia, G., L'Indice 1997, n. 9
Nella collana del Centro internazionale studi di estetica appaiono, a cura del suo presidente, Luigi Russo, i testi delle risoluzioni anti-iconoclaste, decisivi per la teoria e la storia dell'estetica occidentale, approvati nel 787 dal II Concilio di Nicea. L'eccellente traduzione di Claudio Gerbino, l'illuminante apparato critico, costituito dalle tre appendici (storica, di Mario Re; storico-artistica, di Maria Andeloro; teologica, di Crispino Valenziano) consentono un accesso immediato alle sorgenti della coscienza d'immagine che ha ispirato la nostra tradizione. Si potrebbe riassumere il senso di tale coscienza nell'affermazione secondo cui "l'idolo e l'icona sono due cose opposte l'una all'altra".
È qui fissata tutta la complessità della questione dell'immagine nella cultura occidentale. Da un lato, infatti, è immediatamente evidente che i termini concettuali impiegati sono quelli propri della tradizione ellenica. La dottrina cristiana dell'immagine si pone, infatti, innanzitutto, come un approfondimento del contributo ellenico così come esso aveva trovato forma nella traduzione del libro del "Genesi", a opera dei Settanta, verso il III o il IV secolo a.C. I Settanta, per l'appunto, adoperano "eidolon" allorché nel Decalogo si tratta del divieto di farsi immagini di Dio. Tuttavia, cioè che appare con altrettanta evidenza dalla lettura di questi testi decisivi è che l'iconoclastia combattuta dai padri riuniti nel Concilio non è quella che discende dal divieto veterotestamentario, bens" quella annidata nella tradizione ellenica.In quest'ultima l'immagine, anche quando è legittima, anche quando si pone come "eikon*, resta pur sempre in qualche modo una realtà diminuita, un riflesso.
Al contrario, i testi del II Concilio di Nicea sottolineano che l'immagine, sebbene sia interdetta in quanto "eidolon* in rapporto alla rivelazione della natura di Dio, si dispiega invece potentemente, con una sua autonoma validità, sul piano della storia degli uomini, nel loro legame con Dio. È questo l'aspetto peculiarmente "biblico" della legittimazione delle immagini messo in luce, contro le tendenze iconoclaste, dalla teologia dell'immagine cristiana, sancita dal Concilio. Già specifico dell'identità ebraica, dove all'invisibilità teorica di Dio si accompagna la sua visibilità pratica nell'incontro vivo con gli uomini, in quella successione di eventi che costituisce la storia sacra, il legame di immagine e storia si rafforza, in seno al cristianesimo, nella vera e propria difesa delle immagini sacre. L'immagine è legittima come icona, che è quanto dire, al tempo stesso, come "memoria" e come "profezia" dell'incontro fra l'umano e il divino. Cos", mentre la terminologia greca resta invariata, il senso dell'"eikon* muta radicalmente, una volta posta l'affermazione cristiana dell'"incarnazione" di Dio. Elemento decisivo è qui la dissoluzione di quella differenza di natura fra l'immagine e l'archetipo che caratterizzava la teoria greca. Con sanPaolo non si indica più, quanto al rapporto fra l'immagine e il modello, un legame di partecipazione o di affinità, bens" una vera e propria "identità".
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