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«Per coloro poi che sentono, oltre curiosità, una certa inclinazione per qualcuna delle arti o dei mestieri del cinematografo, abbiamo cercato, qua e là, nel corso medesimo del racconto, di dare i primi ragguagli e consigli; e abbiamo radunato in aggiunta, sotto il titolo Un po' di tecnica, quelle elementari nozioni di cui essi andranno avidi».
Questo libro, pubblicato sotto il nome di Franco Pallavera nel 1935, a parte i lettori di professione, tra i tanti lettori di Soldati soltanto i più affezionati ed attenti sarebbero riusciti, prima di questa nostra riedizione, ad attribuirglielo. Non figura nelle schede bibliografiche che accompagnano gli altri suoi libri, ma grazie alla finzione manzoniana del manoscritto cui lo scrittore rifà la «dicitura», La verità sul caso Motta offre il filo che da Franco Pallavera conduce a Mario Soldati. «Tempo fa ricevemmo da Torino un manoscritto raccomandato: mittente certo professor Franco Pallavera... Tuttavia, siccome il Pallavera entrava troppo bruscamente in materia, presupponendo quasi nel lettore la conoscenza dei fatti, e non si curava poi di tirare le conclusioni, pregammo il giornalista Mario Soldati...». Questo gioco ci dice che lo pseudonimo con cui il libro fu pubblicato non aveva altra ragione - appunto - che il gioco: il gioco mistificatorio cui Soldati sempre ed essenzialmente indulge. E si potrebbe anche dire pirandelliano: sostanzialmente, oltre che per la esterna incidenza che Pirandello ebbe nella decisione di Soldati a scrivere questo libro e che Guido Davico Bonino racconta nella nota introduttiva. E possiamo anche tentare altro avvicinamento, considerando che dopo il Si gira di Pirandello (successivamente intitolato Quaderni di Serafino Gubbio operatore), questa è la seconda opera narrativa italiana - né altre ci pare ne siano venute - che si muove nel mondo del cinema. «Un romanzo del cinema italiano Anni Trenta», dice Davico Bonino. E riconoscibilissimo del Soldati che sta tra Salmace e America primo amore.
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