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Riflessione critica sull'involuzione del giornalismo contemporaneo e sull'inadeguatezza della sua lettura del mondo selezionata attraverso gli ingranaggi produttivi del newsmaking il saggio di Niro opera una completa riconsiderazione del ruolo della professione giornalistica inserendola all'interno di un quadro teorico che partendo dalla sintesi delle categorie di pensiero di Habermas e Castoriadis (che attraversano poi sorreggendolo tutto il testo) dimostra come l'assunto ora più che mai ostentato quanto astratto dello stretto e inscindibile legame tra giornalismo e democrazia sia oggi un concetto ormai svuotato di significato da ripensare e ridefinire.
Secondo l'autore infatti ci troviamo di fronte a un'informazione snaturata che cedendo al predominio del mercato e alla logica della commerciabilità ha provocato la crisi drammatica dell'identità stessa dell'intermediazione giornalistica: Un'informazione che da un lato preserva la centralità della ragione economica e dunque alimenta il desiderio di onnipotenza che è alla base dell'economicismo e dall'altro continua a raccontare la favola della vita libera nella società democratica: un'informazione del genere non può ambire a nessun prestigio e a nessuna autorevolezza che vengano fatti discendere dalla capacità di preservare e accrescere gli spazi di libertà e democrazia e quindi di autonomia.
L'indagine empirica che il saggio propone con l'analisi dettagliata delle scelte redazionali delle quattro testate principali (per dispiegamento di mezzi e risorse nonché per seguito di pubblico) del giornalismo italiano televisivo (le edizioni serali di Tg1 e Tg5) e della carta stampata (le edizioni nazionali di Corriere della Sera e la Repubblica) è esemplificativa della distanza tra parole e fatti che regola l'esercizio della volontà giornalistica. Dal crac Parmalat agli episodi di una politica sempre più personalizzata dalla guerra in Iraq agli ostaggi rapiti dall'allarme ambientale e alle morti per incidenti sul lavoro i quattro grandi conformisti come li ribattezza Niro forniscono più di qualche esempio delle modalità attraverso cui il cosiddetto giornalismo istituzionale riflette conserva e riproduce l'immaginario dominante.
La logica escludente del profitto e della comunicazione market oriented ha scalzato il rispetto delle tradizioni normative del giornalismo – prima tra tutte la corrispondenza tra il fatto e il suo racconto – e piegato l'informazione alla commistione con l'intrattenimento e lo spettacolo alla rappresentazione di una verosimiglianza costruita che soppianta l'accertamento programmatico da sempre alla base del lavoro giornalistico prediligendo invece la fruizione emotiva di una storia e subordinando quindi le istanze di verità all'efficacia comunicativa.
Sotto accusa per la diffusione di un modello di informazione lacunosa spalleggiata dalla velocizzazione dei processi della comunicazione sono anche le routine produttive con i loro criteri di notiziabilità che ben lontani dall'essere un processo tecnicamente neutro oltre a garantire una riproduzione acritica di un consolidato immaginario dominante operano una selezione del reale fonte di surrettizie concrezioni ‘ideologiche' politicamente rilevante alimentando un autoinganno che privilegia la quantità a discapito della qualità la sensazione a discapito dell'approfondimento la concretezza a discapito dell'astrazione e che di conseguenza risulta consono soprattutto alla produzione di un'informazione spettacolare e quantitativamente eccessiva.
Alle considerazioni amare di una discreta produzione editoriale che negli ultimi anni ha visto affiancarsi ai materiali d'analisi dei testi accademici i ripensamenti e le riflessioni da parte degli operatori della comunicazione come dei giornalisti stessi attorno alla deriva delle strutture evolutive di un giornalismo sempre più dominato dall'approssimazione e condizionato dalle imposizioni dei poteri forti Niro contrappone una progettualità animata da una passione civile schietta e accesa (di cui il lettore è comunque avvertito trasparendo essa esplicitamente da ogni sua pagina) per l'affermazione di una realtà giornalistica altra finalmente e consapevolmente libera e autonoma.
Rita Giaccari
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