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Poetessa, saggista, traduttrice, Nadia Campana rappresenta una delle voci femminili più intense e originali nel panorama letterario italiano. Nata a Cesena nel 1954, dopo la laurea si trasferisce a Milano dove inizia a collaborare con riviste e case editrici. Figure di riferimento per la sua formazione saranno Anne Sexton, Sylvia Plath, Marina Cvetaeva, Emily Dickinson, della quale curerà nel 1983 alcune traduzioni in "Le stanze d'alabastro". Per tematiche e capacità espressive è stata paragonata a Sarah Kane in "Psycosis delle 4.48" mentre in Italia ad Amelia Rosselli per aver reinventato un linguaggio poetico basato sul flusso di coscienza. Nadia nei suoi versi mostra al lettore il suo mondo psichico, dove i pensieri non nascono già riorganizzarti logicamente in frasi ma spezzettati. Le sue composizioni sono appunto definite "frammenti"; il linguaggio appare criptico, sconnesso, proprio per evidenziare una realtà individuale scissa, alla perenne ricerca dell'unità. Nadia ci mostra la sua realtà ricorrendo all'uso dei colori: soprattutto azzurro e bianco, dove il bianco non è simbolo di purezza e candore ma biancore, espressione del vuoto, del buio; una realtà in cui dominano incontrastati la natura, l'ossessione del tempo ed infine il vento, un vento a cui la poetessa affiderà il compito di alimentare la fiamma della sua poesia dopo che l'avrà condotta in alto a bruciare nel cielo. Infatti il viaggio verso la mente di Nadia Campana terminerà il 6 giugno 1985, quando deciderà di non aspettare più un qualcosa che non sarà mai presente nella sua vita: l'amore. La sua raccolta uscirà postuma nel 1990 e sarà curata dal caro amico Milo De Angelis e da Giovanni Turci per l'editore Crocetti. Nel 2014 verrà rieditata e ampliata dall'editore Raffaelli. De Angelis ricorderà successivamente nelle sue poesie quella giovane così piena di talento che preferì lanciarsi a capofitto nel vuoto a soli 31anni.
In questo libro si ribadiscono sia l’esigenza di un lavoro assiduo di rinnovamento del linguaggio, sia il continuo richiamo alla morte, temi presenti anche nei saggi critici di Nadia Campana (“già veduto già rotolato / già rimandato il corpo sospeso / tra le rocce lacerato”, “è il tempo di arrendersi al contagio / covato dalle solitudini / disarmarsi per le ferite”). Stilisticamente, questi versi franti e fortemente caratterizzati da simbologie, possono ricordare lo sperimentalismo di Amelia Rosselli, le invenzioni lessicali di Antonio Porta, l’autobiografismo scomposto di Sylvia Plath o di Anne Sexton: “poesia del contrasto”, la definisce Milo De Angelis, perché nei temi si alternano caldo e freddo, nero e bianco, esuberanza e tristezza, sogno e verità, mito e cronaca. Affiorano qua e là colori vivaci, campi assolati, acque di torrenti e mari, uccelli e altri animali, presenze giovani e vocianti, eppure ogni immagine ritorna quasi strozzata da un’invincibile angoscia, un’implacabile e minacciosa inquietudine. Sempre ricompare quindi l’aspirazione al tiepido riparo di un approdo, all’affettuosità di un abbraccio protettivo: forse quello del padre, perduto nell’adolescenza per un incidente sul lavoro, o quello di un “eroe mattutino e chiaro”: “Per te, io ti, io te sono / che mi contiene nel tremante ricorso / del tuo silenzio vienimi incontro / orizzonte e allarga esso”, “l’estate occupa tutto lo spazio / come te / e lì io ti chiuderò”, “pregavi le cose che davo / se volevo bere / le gobbe dell’oceano / si rifugiavano sotto le tue braccia / quando il sole se ne andò mi nascondesti”. In una delle ultime composizioni antologizzate, la previsione luttuosa si fa infine scongiuro e preghiera: “il più lento morire dei pulviscoli / capogiro / che occupa molto / mi sento sparire continua / i fianchi trionfano in gara / balzano contro i fondi inermi / nella fretta / neve giovane e sonno resta / dicono scendi mitezza / venissi a temperare la sete”.
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