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In questo nuovo lavoro, Ferdinando Cordova, già autore di un testo su Le origini dei sindacati fascisti (edito nel 1974 da Laterza e riproposto nel 1990 da La Nuova Italia), ripercorre le vicende che, con la proclamazione delle leggi fascistissime, condussero l'esperimento sindacale fascista - già di per sé caratterizzato da limiti e carenze enormi - al suo epilogo, in omaggio alle pretese dell'alta borghesia industriale e a quelle di un'ideologia tendente ad accentrare ogni ambito della vita collettiva nello stato. L'autore, con perizia, ricostruisce questo declino, scegliendo quale oggetto privilegiato della sua osservazione la figura del leader sindacale Edmondo Rossoni. Questi, segretario generale dei sindacati fascisti, a differenza di molti altri protagonisti del regime non era fra coloro che avevano costruito la propria carriera a partire dalla militanza fascista e in grazia delle fortune del duce. Elemento di spicco del sindacalismo rivoluzionario negli anni che avevano preceduto il primo conflitto mondiale, era divenuto in seguito il capo dell'Unione italiana del lavoro, la principale organizzazione del cosiddetto socialismo nazionale, che, nel dopoguerra, per un certo periodo, avrebbe raccolto un altissimo numero di adesioni, pur non giungendo mai a insidiare il primato della Confederazione generale del lavoro. Sedotto, come molti altri ex sindacalisti, dalle pose "rivoluzionarie" del fascismo, dal suo slancio attivistico e dalla sua furia nazionalistica, aveva infine aderito al movimento di Mussolini, divenendo in breve tempo il massimo dirigente dell'organizzazione sindacale a esso legata.
La vita del sindacato diretto da Rossoni sarebbe stata contraddistinta dal continuo cedimento agli interessi del capitale industriale e alle esigenze del regime. Rossoni, infatti, pur alzando talvolta la voce in difesa dei lavoratori, sarebbe stato indotto, quasi sempre, a tirarsi indietro in nome di un cosiddetto "interesse generale", anch'egli contribuendo a fare del sindacalismo fascista una scatola semivuota. L'analisi di Cordova si concentra sulla sua ultima battaglia, quella che il vecchio agitatore emiliano combatté nel disperato tentativo di garantire una sopravvivenza non puramente formale alla sua organizzazione, che, suo malgrado, con le leggi dell'autunno 1926, venne fusa nell'ordine corporativo e ridotta alla totale impotenza.
La seconda parte del libro, particolarmente interessante, è dedicata alla triste vicenda dell'autoscioglimento della Confederazione generale del lavoro, avvenuto in quello stesso periodo, e alla nascita dell'Associazione nazionale di studio "I Problemi del lavoro", con la quale non pochi fra i più prestigiosi dirigenti della Cgdl (e fra essi lo stesso fondatore dell'organizzazione, Rinaldo Rigola) scesero direttamente a compromessi con la dittatura. Affascinati anch'essi dal mito corporativo, che del resto non era completamente estraneo alla tradizione di pensiero del sindacalismo riformista, essi accettarono infatti, in tal modo, di collaborare con il fascismo, nell'illusione di contribuire a ricuperarne l'anima "socialista". Quell'iniziativa, in realtà, avrebbe costituito una straordinaria vittoria del regime, che non soltanto poté strumentalizzare l'avvenimento a scopo propagandistico, ma, senza particolari sforzi, ottenne il disfacimento di una rete organizzativa che risultava essere particolarmente preziosa per i suoi nemici.
Luca Briatore
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