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Einaudi (Collezione di poesia 193); 1986; 9788806595272; Copertina flessibile ; 18,5 x 11 cm; pp. 213; A cura di S. Corduas. Testo a fronte; leggeri segni d'uso alla copertina, interno ottimo; Buono (come da foto). ; È per dovere d'amore che Seifert ha scritto poesia per sessant'anni. Questo dovere è una possibile definizione di quel di piú che alcuni hanno (e dànno), ai quali non bastano, per esprimersi, le vicende personali e civili, e neppure la parola non poetica. Coloro cioè che hanno e dànno la cosiddetta «arte». Cosí l'altro polo di questo poe ta è una Praga antieroica ed antirettorica (una anti-Praga rispetto ai canoni letterari consueti). Antologia di tutta la produzione di Seifert (1901-86, Premio Nobel 1984), questo volume, a cura di Sergio Corduas, raccoglie testi a volte sconosciuti agli stessi lettori cechi, come nel caso delle poesie di Mozart a Praga.; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.
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"Tu versa lacrime per colui che dubita"...Amare è il destino del poeta, l'unica gruccia con cui andare per la vita, reggendosi e reggendola, difendendosi e difendendola. Perché la poesia è un subire che ricambia con un dare, un affronto capovolto dal perdono delle parole, giacchè l'odio non fa né partire la penna né imbustare alle poste del cielo mezza lettera vera. "L'abisso sta sopra di noi" scrive Seifert, un mistero che non asciuga il dolore, un lampo che nemmeno incoraggia, ma una volta per tutte definisce una condizione. E' lì che il poeta decide e comprende se autentico poeta è: abitarla, sposarne i dilemmi, le rozze lune di traverso, la grandine che grida su un foglio, un'adunata di venti contrari. Il poeta maneggia questa confusione e ne plasma verbo dalla sua carne, ogni verso è evento e sfida oltre i recinti del finito, le costumate virgole del facile, la sordità dolosa di chi non vuole pensare: "Se al cuore si potesse dire: non correre! /Se potessi ordinargli: brucia!/ Già si spegne./ Ancora una scarpa, una mano, un anellino da cucito,/ prima che la chiave giri e si apra quella porta/ nella quale entriamo e piangiamo/ per quella tremenda bellezza/ che viene chiamata vita". Eco Rilkiana ("il bello è l'inizio del tremendo"), fiore di verità senza contrasti. Chi sente è condannato ai multipli di ogni dolore, a scale senza arrivo, spaesamenti, orrore, e a cumuli di domande come allunghi del proprio respiro. Ma è il dovere del poeta: "So bene che il poeta/ deve sempre dire più/ di ciò che sta nascosto nel rombo della parola,/ ed è la poesia". Dunque è questa la legge: più il mondo non vuole i poeti, più questi si riprodurranno, perché il disagio è il fratello della scrittura, il suo riflesso perenne. Dio lascia in bianco il suo assegno ai poeti, ma i poeti non ne approfittano, non mettono cifra, non gli serve. Gli basta quella fiducia; essa è già esito e vanto, chiamata e risorsa, premio, sorte. Un sempre protetto dalla parola. Per sempre.
Recensioni
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scheda di Rastello, L., L'Indice 1986, n.10
La parabola descritta dall'evoluzione poetica di Seifert corre lungo gli ultimi sessanta anni di questo secolo; culmine fu, solo per l'occidente disinformato, il premio Nobel nel 1984, che portò fuori dalle cerchie di specialisti la voce di un poeta che molti in patria identificano con l'idea stessa della poesia (e a Praga e dintorni leggere poesie è più di uno sport nazionale, per frequenza e intensità di pratica). L'antologia di Einaudi riporta purtroppo pochi brani della stagione poetista e taglia inspiegabilmente il poema "Vestita di luce" che fu l'emblema in versi della mistica eternità di Praga e il segno della sua resistenza all'invasione nazista; colma tuttavia il vuoto paradossale lasciato dalla scoperta in età tarda (finora in Italia si avevano solo traduzioni di opere recenti e qualche passaggio in antologie) di un artista che, attraverso le molte trasformazioni della sua opera nel tempo, ha saputo coniugare la bellezza cristallina e la complessa classicità del verso (il testo originale a fronte dà la misura della varietà di soluzioni metriche ed espressive impiegate da Seifert) con l'impegno civile che ne ha fatto il simbolo della Cecoslovacchia che non si piega e, insieme, con il richiamo di una sensualità capace di "vestire di luce" anche l'asprezza e il dolore.
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