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La via della schiavitù - Friedrich A. von Hayek - copertina
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2010
20 luglio 2010
9788849828030

Voce della critica


Aprendo una nuova serie della collana di "Biblioteca austriaca", che già ha ospitato grandi classici del pensiero politico ed economico, l'editore Rubbettino ripropone meritoriamente al lettore italiano The Road to Serfdom di Friedrich August von Hayek. Pubblicato nel '44, fu il libro che procurò al suo autore una notorietà ben oltre la cerchia degli economisti, facendolo conoscere a tutti gli effetti quale studioso della politica e della società. La rilettura odierna del testo consente non soltanto di confermare la rilevanza di Hayek come teorico della competizione, del libero mercato e dell'ordine spontaneo, ma anche di contestualizzare le sue tesi nell'alveo di quelle interpretazioni "antitotalitarie" della politica del XX secolo da cui discesero importanti riflessioni sugli sviluppi dei moderni stati democratici.
Hayek dedicava il lavoro "ai socialisti di tutti i partiti", intendendo con la parola "socialismo" una tendenza generale della politica novecentesca in base alla quale l'utilizzazione razionale delle risorse esigeva forme di "direzione centrale" e di "organizzazione". Di qui egli vedeva scaturire le derive fascista e nazionalsocialista, che quindi non erano state, come spesso si sosteneva, una "reazione" al socialismo, bensì uno "sbocco necessario" di quella tendenza. Sul piano teorico, l'antitesi era secondo Hayek tra socialismo (o collettivismo) e individualismo, quest'ultimo da intendersi non nel senso che ognuno debba "pensare solo a se stesso", bensì definendo "individualista" colui che ritiene non esistano scale di valori al di fuori della mente degli individui e pertanto conclude che a ognuno dovrebbe essere permesso di seguire liberamente le proprie preferenze.
Su queste basi l'autore costruiva il proprio ragionamento contro tutte le versioni di "pianificazione" statale, tanto quelle totalitarie quanto quelle derivate dall'espansione dei poteri pubblici nelle democrazie occidentali (aveva in mente, in particolare, il caso britannico), dalle quali vedeva discendere poteri incontrollati. Le assemblee democratiche chiamate ad approntare piani economici erano destinate, a suo avviso, in quanto ritenute portatrici di un mandato del popolo, a produrre una generale insoddisfazione nei confronti delle istituzioni democratiche: "I Parlamenti verranno considerati come 'lavatoi' dove si fanno chiacchiere inutili, istituzioni incompetenti o incapaci di realizzare i compiti per i quali sono stati eletti. E così prende corpo la convinzione per cui, se deve essere attuata una pianificazione efficace, la direzione deve essere 'tolta ai politici' e posta nelle mani di esperti funzionari stabili e autonomi organismi indipendenti".
Oltre a dimostrare ancora oggi una certa efficacia, queste tesi di Hayek, al momento della loro formulazione nella prima metà degli anni quaranta, si inscrivevano nella prospettiva interpretativa, allora diffusa, di una managerializzazione o burocratizzazione universale, sulla cui base venivano accomunate le forme europee di totalitarismo e le tendenze liberal e socialdemocratiche di ogni tipo. Ma non solo: nell'orizzonte teorico hayekiano erano altresì rilevanti le riflessioni sugli esiti cesaristici e plebiscitari dell'ideologia democratica, già messi bene a fuoco dalla cultura politica euroamericana otto-novecentesca, soprattutto a partire da Tocqueville, ma ora fortemente connotati dalla polemica contro l'iperattivismo statale. Da un lato l'idea di dover porre rimedio al "caos economico" e dall'altro l'impotenza delle assemblee democratiche provocavano, secondo Hayek, una richiesta sempre più insistente perché si assegnasse a un governo o a un individuo "il potere di agire in base alla propria responsabilità". La democrazia si riduceva, così, a scegliere le persone a cui attribuire "poteri praticamente assoluti"; l'intero sistema democratico non poteva che tendere, in altre parole, verso una "dittatura plebiscitaria".
Hayek sottolineava, a questo proposito, l'errore frequente di concentrare l'attenzione sulla democrazia, come se questo fosse "il principale valore minacciato". Non esitava a parlare, in tal senso, di una "moda", ritenendola responsabile "dell'opinione sviante e priva di fondamento, secondo la quale finché la fonte ultima del potere è la volontà della maggioranza, il potere non può essere arbitrario". Il ragionamento di Hayek, in ultima analisi, si richiamava alla critica liberale della democrazia, rielaborandola alla luce del ruolo crescente dello stato di fronte alle trasformazioni sociali, alla complessità tecnologica e alla razionalizzazione della produzione di massa. Effetti deleteri erano, in tal senso, "l'entusiasmo per l'organizzazione di ogni cosa" e la "crescente somiglianza fra le idee economiche della destra e della sinistra" nella loro comune opposizione al liberalismo.
Giovanni Borgognone

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