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Nel 2000 la Boat Owner Association degli Stati Uniti collocava Serendipity al decimo posto tra i nomi più popolari di barche. Nello stesso anno un'inchiesta britannica faceva sapere che era serendipity guidare la classifica delle parole inglesi preferite dagli intervistati. L'idea venne a Horace Walpole dalla lettura di una "sciocca favoletta", The Three Princes of Serendip, nella quale tre principi, figli di Jafer, re-filosofo di Serendip (antico nome di Ceylon), "scoprivano continuamente, per caso e per sagacia, cose che non andavano cercando". Lo scrittore britannico coniò, quindi, il termine serendipity per indicare una sorta di "sagacia accidentale", che porta a una scoperta inattesa. Lo consegnò al suo epistolario, in particolare a una lettera a Sir Horace Mann del 1754. Il termine walpoliano, però, dopo il conio, non comparve più per settantanove anni. Si dovette attendere la pubblicazione delle lettere a Horace Mann nel 1833 e poi la ristampa, nel 1857, della corrispondenza di Walpole. Passarono quasi altri vent'anni prima che la parola venisse finalmente lanciata nei canali letterari. Accadde nel 1875, sul periodico "Notes and Queries", dedicato alle più svariate curiosità umanistiche. Fu, in particolare, Edward Solly a chiarire ai lettori l'origine di serendipity, che ricomparve, poi, sei anni dopo, in un libro di Andrew Lang sui comportamenti dei bibliofili. Ma spettò a Walter B. Cannon, professore di fisiologia alla Harvard Medical School, con inclinazioni umanistiche, il merito di far compiere a serendipity, negli anni trenta del Novecento, il "grande balzo". Essa divenne, infatti, espressione di "un'intera filosofia della ricerca scientifica", basata sull'importanza dei fattori non-intenzionali. La parola, infine, giunse a Robert Merton, che la introdusse nel lessico delle scienze sociali e che preparò con Elinor Barber, già a metà degli anni cinquanta, la presente "mappa" dei movimenti della serendipity.
Giovanni Borgognone
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