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Attilio Brilli non è d'accordo con chi pensa che il trasferimento sia la parte migliore del viaggio e così, a sostegno della sua tesi, raccoglie le confidenze private, le lettere e i diari (non destinati alla pubblicazione e forse per questo più veri) di autori che dal 1600 in poi sono arrivati in Italia. E non sono stati pochi: de Montaigne, Boswell, Dickens, Goethe, Stendhal, Scott, Hawthorne, James, Twain, solo per citare alcuni degli artisti che Brilli inserisce nelle sue schede bio-bibliografiche che chiudono il testo. Escono allo scoperto tutte quelle ansie, sensazioni e aneddoti che nella letteratura "ufficiale" del viaggio vengono invece confinate nell'ombra, nascoste dalle informazioni culturali, naturalistiche, topografiche e di costume. Si scopre così che tra il Seicento e il Settecento non c'era viaggiatore che non partisse per l'Italia spinto dall'immagine di trovare qui una terra abbandonata alla lussuria. Già nel Settecento, in Francia e Inghilterra, c'era un proficuo mercato di guide del nostro paese, elemento indispensabile per poter far fronte alle molte insidie che nello spostamento si potevano trovare. Tutti contrattempi di cui non resta tracciama chenon potevano non esserci. Dagli intoppi burocratici, come i passaporti (con conseguenti fermate forzate alle moltitudini di dogane che s'incontravano sul tragitto) e i bollettini di sanità (necessari per evitare le quarantene), fino ai salassi e alle purghe che prima di partire erano rituali procedimenti. Da questa letteratura "clandestina" emergono le descrizioni del corredo del viaggiatore, le scomodità delle carrozze, le paure d'incappare nei briganti, gli scomodi alloggiamenti nelle locande. E poi il capitolo sui ritorni a casa. Chi mai nella letteratura di viaggio ha avuto notizia dei rientri? Solo violando la corrispondenza privata di questi autori illustri se ne ha testimonianza. Le illustrazioni, datate 1826, "Dodici inconvenienti dell'andare in carrozza" tratte da Auguste-Xavier Leprince arricchiscono l'opera.
??? Tucci
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