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Viaggio in Polonia - Alfred Döblin - copertina
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1994
304 p.
9788833908779

Voce della critica

D”BLIN, ALFRED, Viaggio in Polonia, Bollati Boringhieri, 1994
D”BLIN, ALFRED, Scritti berlinesi, Il Mulino, 1994
D”BLIN, ALFRED, Fiaba del materialismo, Ibis, 1994
recensione di Banchelli, E., L'Indice 1995, n. 5

Per una felice coincidenza, non legata oltre a tutto ad alcuna celebrazione ufficiale, il 1994 è stato per l'Italia, in campo editoriale, un anno döbliniano. E se, a partire dalla lontana e coraggiosa traduzione di "Berlin Alexanderplatz" (Rizzoli, 1947) di cui ancora dobbiamo essere grati ad Alberto Spaini, si sono potute apprezzare alcune tra le prove più importanti dello straordinario talento narrativo di questo scrittore, i nuovi volumi ci invitano a conoscere altri fondamentali aspetti del suo lavoro culturale. Lavoro che abbracciò, con instancabile energia e curiosità, oltre all'"epos", la saggistica letteraria, filosofica e scientifica, la critica militante e il reportage, i contributi per il teatro, la radio e il cinema, producendo una mastodontica mole di materiale che la grande edizione tedesca (Alfred Döblin, "Ausgewählte Werke in Einzelhänden*, Walter, Olten - Freiburg i.B., a partire dal 1960) è impegnata tuttora a raccogliere e ricostruire.
I primi due titoli che proponiamo attingono dalla più feconda e fortunata stagione döbliniana, quegli anni venti che lo videro tra i protagonisti del dibattito intellettuale weimariano. "Viaggio in Polonia" (1924) cela, sotto la forma accattivante del reportage, la ben più complessa problematica del rapporto dell'ebreo assimilato Döblin con la propria cultura d'origine, un rapporto fatto di svolte e di ambiguità su cui ci aiuterà certamente a fare ulteriore luce l'annunciata pubblicazione del volume di scritti sull'ebraismo nell'edizione Walter.
Questo taccuino polacco, commissionato dalla "Vossische Zeitung", è frutto della svolta decisiva subentrata nelle posizioni di Döblin al manifestarsi dei violenti rigurgiti antisemiti che scossero Berlino nel novembre del 1923. Datano da quello stesso periodo anche i suoi legami, non privi di tensioni polemiche, con gli ambienti sionisti e alcuni suoi interventi pubblici sulla questione ebraica. Tuttavia fu solo l'incontro diretto con le peculiarità del mondo ebraico orientale in occasione di quel viaggio (tra fine settembre e fine novembre 1924) a trasmettergli la certezza di un'identità culturale ineliminabile e, nel contempo, a rafforzare il suo rifiuto della soluzione nazionalstatale proposta dal sionismo.
Ma, come sempre, anche in questo testo Döblin non si accontenta di mostrarci un unico volto di sé e della propria ricerca. Accanto al pellegrinaggio verso le radici ebraiche, la visita in Polonia di schiude infatti allo scrittore (si veda il capitolo su Cracovia e in particolare le pagine dedicate alla figura del Cristo in croce) anche la segreta fascinazione della devozione cattolica, nelle cui braccia lo avrebbe infine condotto, negli anni dell'esilio, il suo lungo travaglio spirituale. Nell'edizione italiana si avverte purtroppo la mancanza di un qualsiasi apparato critico che consenta al lettore di cogliere lo spessore storico e ideologico del testo.
Tanto più lodevole ci appare quindi la scelta antologica degli "Scritti berlinesi" proposta da Giulia Cantarutti, che ha saputo trovare il giusto equilibrio tra l'esigenza di informare (nelle puntuali note a piè pagina) e di suggerire spunti critici (nell'introduzione) e quella di lasciare spazio al dialogo diretto tra l'autore e il suo lettore, personaggio cui Döblin riconosce un ruolo e un'autonomia essenziali nella sua concezione del patto narrativo.
Nella prima sezione la silloge contenuta nel volume attinge dal vastissimo patrimonio della saggistica döbliniana, dagli scritti sparsi e minori, le pagine più illuminanti intorno alla sua riflessione teorica sulla trasformazione della forma-romanzo nella modernità; trasformazione che nel linguaggio dello scrittore si sintetizzava nella sostituzione del termine romanzo o narrazione con quello - tanto ricco di futuri sviluppi per la letteratura novecentesca, a cominciare da Brecht - di "opera epica". Nel mettere a punto la sua poetica Döblin ha sempre guardato con interesse intorno a sé, a quella letteratura del passato e del presente che gli pareva confermare la direzione da lui imboccata: a un Arn Holz, fondamentale punto di partenza per la rielaborazione döbliniana del concetto di "naturalismo", a un Dostoevskij, maestro insuperabile nell'arte dello "sfolgorante" dispiegamento epico, e a Musil, Kafka, Joyce, i compagni di strada nella costruzione di una nuova narratività.
Su di loro e sullo stesso Döblin 'vu par lui mˆme' leggiamo nell'ultima sezione del libro. Quella centrale ci presenta invece il Döblin più "militante", lo scrittore impegnato a indagare i rapporti fra la pratica letteraria e lo 'Zeitgeist', fra la scrittura e la fruizione, fra la poesia e le richieste della civiltà tecnologico-industriale. Vi figura, tra gli altri, il saggio "Lo spirito dell'epoca naturalistica" (1924) che - a parere di chi scrive - rappresenta forse la replica più lucida e definitiva alla fatale contrapposizione tra 'Kultur' e 'Zivilistation', pericolosamente rilanciata in quegli anni dal "Tramonto dell'Occidente" di Spengler.
La "Fiaba del materialismo" (1944), scelta da Elena Agazzi entro il ricco corpus dei racconti döbliniani, appartiene invece al periodo forse più oscuro dell'autore, quello dell'esilio americano (1940-45) vissuto con profondo senso di alienazione dalle proprie radici culturali. Quel disagio, nutrito dall'impatto con la civiltà americana e dal divampare della furia fascista, doveva alimentare una sofferta ricerca spirituale, un tormentato ripensamento delle posizioni maturate dalla sua riflessione filosofica nel corso degli anni venti.
Del resto, il grande saggio di speculazione metafisico-naturalistica del 1933 "Unser Dasein* (La nostra esistenza) già si era chiuso sulle parole "Ende und kein Ende", che promettevano ulteriori possibili approdi. In questa fiaba Döblin sceglie la strada del 'divertissement', del gioco lieve con riferimenti e citazioni dalle fonti più disparate e sapientemente occultate nel testo, per interrogarsi sulla rottura nell'equilibrio dei rapporti fra natura e civiltà, fra scienza e vita, per indagare con humour e ironia gli spettri del caos in cui si sentiva immerso.

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Conosci l'autore

Alfred Döblin

(Stettino 1878 - Friburgo in Brisgovia 1957) scrittore tedesco. Nato in una famiglia ebraica, crebbe a Berlino, dove si laureò in medicina ed esercitò la professione di medico psichiatra fino all’avvento del nazismo. Nel 1910 D., che aveva già al suo attivo una serie di saggi satirico-politici, fu tra i fondatori della rivista espressionista «Der Sturm» (La tempesta). Emigrato nel 1933 in Francia e poi negli Stati Uniti (1940), si convertì al cattolicesimo. Nel 1955 ritornò in Germania. Il poliedrico talento narrativo di D. è documentato da una produzione che abbraccia romanzi, racconti, saggi e teatro. Al primo romanzo I tre salti di Wang-lun (Die drei Sprünge des Wang-lun, 1915) seguì La guerra di Wadzek alla turbina a vapore (Wadzeks Kampf mit der Dampfturbine, 1918), in cui lo scrittore...

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