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Viaggio nel pittoresco. Il girdino inglese tra arte e natura
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Descrizione


Sentimento della natura, arte dei giardini e pittura di paesaggio sono i tre temi al centro di un appassionante dibattito estetico nell'Inghilterra del Settecento. Aristocratici e gentiluomini nel corso del Grand Tour ammirano in Italia panorami, città, antiche rovine, ma scoprono anche la campagna romana: colline ondulate, cespugli intricati, zone boscose, tempietti, corsi d'acqua. La suggestione di queste immagini diventa parte integrante della memoria, ma sulla strada del ritorno i viaggiatori non si fermano alla dimensione del ricordo: spesso riportano in Inghilterra questo paesaggio suggestivo sotto la forma del dipinto. Quadri, disegni, incisioni di Claude Lorrain e di altri paesaggisti vanno così ad abbellire le dimore inglesi. Al tempo stesso, gli spazi di contorno alle dimore aristocratiche, i giardini inglesi, vengono rimodellati per alcuni decenni sull'immagine di quella campagna romana vista e amata nel corso del Grand Tour. Nasce così in quegli anni - e si diffonde da qui in tutta Europa - la categoria estetica del «pittoresco», e con essa il modello del landscape garden, che segna il definitivo tramonto del rinascimentale giardino all'italiana. Ma l'intreccio natura-pittura-giardino percorre anche molte altre strade, coinvolge la filosofia, sfocia nella politica: il nuovo giardino inglese respinge la razionalità geometrica del precedente modello, in nome della libertà della natura, contro la regola dettata da squadra e compasso. Si accende una battaglia accanita e gentile: i Kew Gardens contro Versailles, l'Inghilterra liberale contro la Francia assolutista. Protagonisti di questa rivoluzione «verde» e interpreti della nuova tendenza di gusto saranno gli improvers, William Kent, «Capability» Brown, Humphry Repton, creatori di una straordinaria serie di giardini, sparsi in tutta l'Inghilterra. Ma il viaggio nel «pittoresco» iniziato dalla pittura classico-arcadica di Lorrain si conclude con la pittura romantica di Constable e Turner. Così come il giardino è diventato paesaggio in nome della libertà della natura e ha definitivamente respinto impianti geometrici, muri di cinta e aiuole ben disegnate, allo stesso modo la pittura di paesaggio si libera dalla costrizione del disegno in nome della ricchezza e della libertà del colore.

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Dettagli

1996
16 settembre 1996
313 p., ill. , Rilegato
9788879892186

Voce della critica

LICHAèEV, DIMITRIJ SERGEVIè, La poesia dei giardiniCALVANO, TERESA, Viaggio nel pittoresco. Il giardino inglese fra arte e natura
recensione di Marzotto Caotorta, F., L'Indice 1997, n. 4

Nel corso degli ultimi cento anni il giardino è diventato un testo scritto in una lingua semiestinta e così obsoleta da far confondere il mondo dei giardini con quello del giardinaggio. Certamente la cura delle piante è funzionale alla vita del giardino, ma non lo determina. D'altra parte, fin dalla definizione del primo giardino del mondo, ciò che ne qualificò il valore fu prima il significato che gli venne attribuito: il suo ruolo, la sua distinzione dal contesto, e il suo ospitare l'albero simbolico, e poi le caratteristiche delle piante belle e utili.
A confermare il presupposto che il giardino è tale quando esprime un'idea di rapporto con il creato o per lo meno con l'ambiente circostante, sta il fatto che nei secoli, in Oriente come in Occidente, l'uomo ha costruito giardini nei quali è ben evidente la stretta connessione, o meglio l'adiacenza, tra valori etici e valori estetici. E sempre nel mondo dei giardini è anche facile individuare come la indeterminazione dei primi porti alla scomposizione dei secondi. Nei periodi storici fortemente connotati da una salda coerenza etica si sono costruiti giardini ispirati da canoni estetici e valori semantici altrettanto coerenti e ben individuabili. Come se, in tali periodi di determinazione ideale, l'uomo avesse maggiori strumenti o maggiori urgenze di rappresentare anche l'evoluzione del suo rapporto con il mondo esterno, i nuovi aggiustamenti dell'immagine con cui si delineava la figura di madre natura. Voltandoci indietro lungo l'ultimo secolo, ci si accorge, invece, che tutto un settore della storia dell'uomo che, fino a metà Ottocento, era connotato da una grande ricchezza di simboli e significati pare essersi dissolto, perché scritto in una lingua di cui si è apparentemente persa la grammatica, la sintassi e anche ogni dizionario.
Dai giardini del Giappone imperiale o monastico le piante, i sassi, le acque sono stati forgiati da un'idea figlia di una tensione etica. Lo stesso vale per i giardini Moghul, per quelli arabi intesi a far vivere il paradiso in terra. Il giardino monastico è un luogo dello spirito. E ancora adesso nei giardini del Rinascimento italiano si percepiscono come interlocutori gli inquilini dei piani alti dell'intelletto umano. Più tardi l'irraggiamento del potere assoluto trova in Francia modi per mettere il proprio sigillo anche sul paesaggio. Le suggestioni di un liberalismo nascente ispirano in Inghilterra il giardino paesaggistico, immaginato da coloro che vogliono intorno a sé la rappresentazione di una natura anch'essa naturale e "libera". Immagini i cui codici derivano anche dalla pittura di paesaggio di Claude Lorrain, Nicolas Poussin e Salvator Rosa. E non solo, lo stile del giardino dalla fine del Seicento è materia letteraria e occasione di dibattito tra poeti e letterati quali Alexander Pope, Horace Walpole, Cooper, Addison. Per contro, il giardino ispira le composizioni di poeti, letterati, saggisti, filosofi. Insomma, nei secoli, il progetto e la realizzazione di giardini è stata valutata materia dell'ingegno umano in stretta connessione con altre forme d'arte o di cultura e come partecipe del complesso clima estetico di una determinata epoca. Oggi ci si ritrova per lo più (e in particolar modo in Italia) a confrontarci con spazi verdi o aree attrezzate prive di ogni significato. Tutta questa lunga premessa pare necessaria per introdurre due libri molto diversi tra loro ma ambedue dedicati al giardino come fenomeno semantico.
Con il titolo "La poesia dei giardini", e il sottotitolo "Per una semantica degli stili dei giardini e dei parchi. Il giardino come testo", Dmitrij Sergeevicÿ Lichacÿev prepara il lettore agli argomenti della sua raccolta di saggi che aprono i cancelli degli sconosciuti giardini russi, ne documentano una genealogia antica, educata da norme bizantine e per molto tempo lontanissima dall'Europa occidentale. Un libro nel quale confluiscono echi di tante voci. Una di queste ha certamente ispirato il lavoro di Teresa Calvano. L'autrice scrivendo "Viaggio nel pittoresco" fa emergere, attraverso una ricerca accurata e originale, la vitalità e l'evoluzione di una stagione dell'arte dei giardini che tanto ispirerà la cultura russa quando questa, al tempo di Pietro il Grande, andrà cercando forme lessicali utili a un'apertura politica e culturale rivolta verso occidente. Particolarmente interessante, accostando i due testi, è seguire il percorso delle idee lungo una sorta di itinerario estetico legato al mondo dei giardini, individuandone i luoghi di origine, osservando quelli di pausa e di elaborazione, arrivando ai punti di diramazione e rientrando da quelli di esaurimento.
Lichacÿev, nel confrontare i giardini dell'antica Rus' con quelli del medioevo occidentale, sottolinea come la natura di cui si addita l'aspetto dinamico, mutevole, ciclico, appaia con connotazioni più utili che belle e quale sfondo per scene di vita quotidiana. Ed è già nel medioevo che il giardino viene paragonato a un libro, mentre i libri vengono spesso chiamati come i giardini: "Viridiari", "Horti conclusi". "Il giardino - scrive l'autore - doveva essere letto come se fosse un testo, traendone utilità e ammaestramento". Il che ci riporta ancora al vuoto culturale e colturale proprio dei cosiddetti spazi verdi, o aree attrezzate contemporanee, e ci fa anche ricordare l'osservazione di Lichacÿev secondo cui anche "l'assenza di significato è in qualche misura fenomeno semantico". Nel leggere e confrontare i due libri, si può in qualche modo individuare quando è cominciato il declino proprio di quella capacità di leggere e di immaginare giardini da cui trarre ammaestramento.
Secondo lo studioso russo, il fenomeno è dovuto all'indebolimento dell'istruzione classica e teologica; tuttavia nelle dense pagine che i due autori dedicano al giardino romantico e nel corso della ricerca che Teresa Calvano riserva all'evoluzione dall'idea di pittorico a quella di pittoresco, e alla involuzione verso un'estetica propria di un sentimentalismo individualistico, paiono ritrovarsi tracce di un agente patogeno per il quale l'idea di giardino non aveva selezionato anticorpi. Il germe è inattivo, ma già in qualche modo presente, al tempo dei giardini paesaggistici in quanto questi sono i primi che rispondono ai gusti individuali di chi li disegna: il "giardiniere" dopo la seconda metà del Settecento ha modo di esprimere la propria personalità, più di quanto potesse fare in precedenza - prima i giardini erano strettamente codificati dall'idea di divinità o di potere, oppure erano fatti per ospitare gli dèi e le muse, Flora o Vertunno, in ogni caso erano siti ideali. Poi, nella stessa stagione in cui si teorizzano e progettano i grandi giardini pubblici, volti al piacere del popolo, parallelamente a questa, inizia la stagione del declino. Il malessere comincia a manifestarsi quando un'idea di rappresentazione di natura libera si avvita su una celebrazione del libero sentimento che indulge verso l'estetica dell'animo esacerbato, della melanconia, della rimembranza funebre, del buio, della tenebra, della rovina, dell'io, io, io sentimentale capace di soffocare ogni idea: quando al banchetto delle muse si sostituisce tutt'al più il borghese "déjeuner sur l'herbe". Forse è da lì che comincia a perdere di certezza l'affermazione di Lichacÿev secondo cui "l'arte rappresenta sempre il tentativo dell'uomo di creare un ambiente felice".

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