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"Il fabbricante di infermità" che procura mutilazioni a pagamento, il proprietario di un caffè, un po' omosessuale e un po' dedito alla droga, un barbiere innamorato, una ragazza, Hamida, che pur di fuggire dall'angustia e dalla miseria finisce nelle mani della persona sbagliata che la avvia alla prostituzione, una procacciatrice di matrimoni, i ladri di dentiere d'oro che vengono sottratte ai cadaveri e tanti altri personaggi che pullulano e vivono nel Vicolo del Mortaio. Un'umanità varia e sofferente che costituisce il microcosmo di un sobborgo del Cairo alla fine della seconda Guerra Mondiale, dove regnano le ristrettezze, la solidarietà, a volte finta, e il pettegolezzo. Un ritratto vivo e un po' crudo della povertà, uno dei migliori libri dell'Autore egiziano (vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1988), che diverte e immalinconisce. Qualche difficoltà legata agli oggettivi problemi di traduzione da una lingua così diversa dalla nostra.
Una strada del Cairo alla fine della seconda guerra mondiale che fa da perno e crocevia a tante storie a tanta umanità e a situazioni di vita delle più disparate. Lo stile di Mahfouz è fluido ed elegante, i personaggi vengono tratteggiati con sensibilità e particolarità, le vicissitudini dei protagonisti del libro vengono narrate con grande maestria. Apparentemente un libro in cui gli uomini vengono messi in risalto di più per l'azione e capacità organizzativa(il dentista, il saggio che dirime le questioni personali, lo storpiatore, l'oste etc) , ma allo stesso tempo, a mio parere, un testo in cui le donne hanno il polso della situazione smentendo così un luogo comune che vuole le donne mussulmane assoggettate completamente ai loro uomini.
Un libro molto bello ad avvincente, soprattutto per le storie di ordinaria normalità di un popolo di emarginati che ci sono più vicini di quanto pensiamo.
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1989)
recensione di Noja, S., L'Indice 1989, n. 7
L'assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Nagìb Mahfùz, più che far discutere su chi lo avrebbe meritato al pari o prima di lui - discussioni che non ci sono state - ha fornito un'eccezionale opportunità di conoscere più da vicino la produzione degli scrittori di lingua araba, poco noti in Italia per un consolidato rifiuto dei nostri editori a proiettarli nel circuito della grande e media distribuzione.
Solo negli scaffali di un distributore di articoli scientifici specializzati si potevano trovare romanzi arabi, persiani e turchi tradotti dall'originale. Ma in verità nessuno li cercava o, se li cercava, non sapeva dove trovarli. Tutto ciò mentre il mondo di quegli autori, come rappresentanti di buona parte dell'Islam, da qualche tempo occupa insistentemente le pagine dei nostri giornali.
La letteratura e la lingua sono tra i campi che hanno subito maggiori trasformazioni nel recente risveglio della cultura araba. La portata delle novità introdotte in questo settore appare tanto più significativa quanto più si tien conto del profondo attaccamento dei popoli di lingua araba alle forme tradizionali dell'espressione letteraria, rimasta praticamente inalterata per più di un millennio.
Per una serie di fattori interni ed esterni l'Egitto è stato uno dei principali protagonisti, se non il principale in assoluto, del risveglio culturale e artistico del vicino oriente: dotato di un proprio prestigioso passato, più e meglio di altri settori dell'impero ottomano seppe svincolarsi dalla tutela dei turchi, fece tesoro dei molteplici influssi derivati dalla breve ma determinante presenza francese a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, e diede prova di grande civiltà cominciando proprio nel settore della lingua e della cultura l'opera di riforma che si rese necessaria a ogni livello. I nuovi generi letterari che si imposero, dal romanzo breve al teatro. furono spesso di imitazione europea, ma il taglio realistico e il particolarissimo rapporto tra forma e contenuto consentito dalle grandi risorse espressive della lingua araba, condussero alla nascita di una letteratura con un proprio carattere definito e ben inserita nelle vicende storiche dei paesi dell'area.
Queste premesse giungono in Nagìb Mahfùz alla loro piena realizzazione, pur passando attraverso momenti di crisi e fasi alterne. La specificità nazionale egiziana era già sufficientemente affermata tanto da consentire all'autore di abbandonare presto il filone ispirato alla storia del periodo faraonico che lo affascin• al principio, per rivolgersi interamente alla descrizione della realtà contemporanea del suo paese e soprattutto della sua città, il Cairo. In questa riserva inesauribile di volti, di voci e di vicende in bilico tra la secolare tradizione islamica e le trasformazioni dell'era moderna Nagìb Mahfùz pesca a piene mani per darci le sue pagine più immediate in opere come "Vicolo del Mortaio", fino a dipingere un grande affresco alla borghesia egiziana del secondo dopoguerra, noto come "la Trilogia". Non è un caso che siano la classe media e l'ambiente urbano ad imporsi rispettivamente come protagonista e come scenario della narrazione di Nagìb Mahfùz: i ceti emergenti che non trovano ancora una precisa collocazione nella realtà in rapida trasformazione vivono il distacco dai modelli di vita tradizionali drammaticamente quanto le classi rurali, ma a differenza di queste ultime trovano negli scrittori come lui il tramite attraverso cui esprimere il proprio travaglio.
"Vicolo del Mortaio", nella traduzione dall'arabo di Paolo Branca, sta all'origine di questo filone, probabilmente quello in cui il romanziere egiziano ha dato il meglio di sè, diventando per il Cairo ciò che sono stati Dickens per Londra e Zola per Parigi, e certamente quello per cui è maggiormente conosciuto sia in patria che all'estero. I suoi temi fondamentali, anche se non ancora amalgamati in un progetto di grande respiro, vi sono tutti presenti: la realtà quotidiana di ricchi commercianti e modesti bottegai saldamente radicata nell'osservanza delle pratiche religiose e poco incline a farsi turbare dai grandi eventi della storia, pur evocati sullo sfondo; l'irrequietezza delle nuove generazioni destinate ad affannarsi dietro il miraggio di una vita diversa spinte dall'ambizione o coinvolte controvoglia dalla catena degli avvenimenti; il vasto campionario delle umane miserie e debolezze ritratte per quel che sono, senza intenti moralistici n‚ interpretazioni sociologiche. E a questo proposito va segnalato il coraggio con cui l'autore ha introdotto temi quali l'omosessualità e la prostituzione per i quali ha incontrato non poche resistenze.
Il vero protagonista è l'ambiente le vicende dei singoli personaggi si intrecciano con una certa frammentarietà e senza che un singolo eroe si stacchi dallo sfondo. Il romanzo si apre narrando del vecchio cantastorie cacciato dal caffè per lasciar posto alla radio e si chiude con la morte del giovane Abbas, tradito dall'ambiziosa ragazza per la quale aveva lasciato il Vicolo in cerca di fortuna. La storia di questo sfortunato amore e le vicende dei suoi protagonisti si uniscono a quelle dei molti altri che popolano una minuscola corte dei miracoli situata in uno dei quartieri popolari più noti del Cairo. Sullo sfondo delle moschee e delle strade affollate si snoda la realtà quotidiana battibecchi e coi suoi piccoli drammi: il vecchio professor Darwish che finisce mezzo santo e mezzo alienato dopo che nuove disposizioni l'hanno privato del suo posto; il sordido Zaita sfruttatore di mendicanti, e il suo compare dottor Bushi, dentista improvvisato che con lui si procura protesi a buon mercato frugando nottetempo nei cimiteri; sayyid Selim, ricco e sanguigno padrone del Bazar che se la prende con la moglie e coi figli per una malattia venuta a interrompere una vita florida e soddisfatta di sè... Le vicende di questi personaggi, ancora radicati nel mondo della tradizione, paiono meno esacerbate di quelle dei giovani che sembrano pagare il prezzo più alto nel tentativo di conquistarsi una vita diversa: i commerci con gli inglesi favoriti dalla guerra, le case dei lussuosi quartieri nelle quali Hamida finirà per prostituirsi, le comodità e i divertimenti offerti dallo stile di vita moderno si riveleranno ingannevoli miraggi per quanti si erano illusi di lasciare il Vicolo.
Di fronte a tutto ciò Nagìb Mahfùz sa conservare però una partecipazione a distanza, disincantata e ironica che gli permette di non usare delle realtà che descrive solo come freddi simboli ma per quello che sono. Fedele alla concezione classica della letteratura come archivio storico della collettività - "gli Arabi, dice un detto antichissimo, quando hanno qualcosa da raccontare lo pongono in poesia" - Nagìb Mahfùz ama definirsi semplicemente un testimone chiamato a mettere per iscritto le storie della sua gente e della sua città, cosicché accanto ai romanzi quali "Vicolo del Mortaio" troviamo gustose raccolte di racconti come "Il nostro quartiere", tradotto dall'arabo da Valentina Colombo, che sta per essere pubblicato dalla stessa Feltrinelli.
La stretta simbiosi tra l'autore e il suo ambiente emerge ancor più chiaramente quando, con i drastici mutamenti introdotti nel 1952 dalla rivoluzione di Nasser, la sua vena sembra esaurirsi. È avvenuto così che, dopo un lungo silenzio, nelle opere che ha ripreso a pubblicare, al pari di altri esponenti della letteratura araba, Mahfùz ha proseguito il cammino della ricerca affrontando temi più introspettivi, segno che realtà nuove stanno maturando e cercando la maniera di potersi esprimere.
Certi schemi narrativi si ripropongono in tutta la sua produzione, come nelle vicende del bellissimo "Caffè degli intrighi", tradotto da Daniela Amaldi, anch'esse imperniate attorno a un locale pubblico, il caffè Karnak, ma ambientate nell'Egitto degli anni cinquanta. Nuove invece saranno le tematiche dell'emarginazione e dell'incomunicabilità che troveremo in opere come "Il ladro e i cani", "Chiacchierata sul Nilo" o nella sua ridotta produzione teatrale, dove è stata ravvisata una certa influenza kafkiana, comune anche ad altri autori arabi contemporanei.
"Vicolo del Mortaio", pubblicato nel 1947, è la descrizione, lievemente ironica e distaccata, della vita quotidiana che si svolge in un vicolo del Cairo, durante la seconda guerra mondiale. Mahfuz ci offre il vivido ritratto di un'umanità dolente, spesso molto misera: lo sfruttatore di mendicanti che procura mutilazioni definitive dietro compenso; il proprietario del caffè, esacerbato da un'inclinazione omosessuale e dall'assuefazione alla droga; il giovane barbiere che vuole santificare il suo amore per il Vicolo attraverso quello per una ragazza, Hamida; e poi Hamida stessa, nella cui volontà di fuga dallo squallore del suo quartiere natio è adombrata la ribellione radicale, l'impronta di un eterno e universale 'esser-giovani', in opposizione a ogni forma di immobilità. Mahfuz rappresenta tutto ciò con semplicità e insieme con esotica raffinatezza, dosando i dialoghi e i momenti di riflessione in modo da lasciare sempre un varco tra un episodio e l'altro. In ultimo, è la vita, nella sua nudità essenziale e drammatica, a imporsi a tutti come una sorta di riequilibratore deus ex machina.
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