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"O noi cambiamo il corso impresso alla Storia o sarà la Storia a cambiare noi": è l'epigrafe conclusiva e assertoria con cui il regista Ermanno Olmi chiude la sceneggiatura del suo film presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2012. Film cristiano come pochi di un regista che ha sempre fatto della sua fede nel messaggio evangelico e della sua attenzione verso gli ultimi, i perdenti, gli sconfitti dal potere, il credo cui affidare la sua arte e la sua missione di uomo. Una chiesa periferica e vuota (di fedeli, di spirito e di amore) viene minacciata dalle ruspe della civiltà capitalistica interessata solo al profitto e all'interesse economico: ed ancora più pericolosamente è messa in pericolo dall'indifferenza, dal relativismo, dal dogmatismo di una comunità cattolica che non sa rinnovarsi nella direzione della speranza e della carità. Il vecchio parroco che ne è alla guida si scopre solo e dubbioso, messo in crisi dalle parole del suo medico ateo, dall'ambiguità codarda del suo sagrestano, e soprattutto da un'invasione notturna, pacifica e disperata, di un gruppo di clandestini affamati in cerca di riparo e conforto. I vari personaggi rivestono i panni dei protagonisti del Vangelo: c'è il neonato innocente e salvatore, ci sono Giuda e Pilato (con le guardie-sgherri di un potere ottuso e violento), ci sono i puri di cuore che perseguono il bene, e i corrotti pronti a vendersi e a tradire. Nella sua sapiente prefazione Vito Mancuso, partendo dall'amara constatazione della crisi in cui versa il cattolicesimo europeo, invoca una trasformazione della Chiesa e della religione, che per sopravvivere dovrebbero riconvertirsi, passare "da un fondamento statico a un fondamento dinamico", dall'ortodossia all'ortoprassi: scegliendo "l'esserci-per-altri", la giustizia, la persona, la spiritualità, Dio "non più come risposta, ma piuttosto come domanda".
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