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La violenza, la crociata, il lutto. La Grande Guerra e la storia del Novecento - Stéphane Audoin-Rouzeau,Annette Becker - copertina
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La violenza, la crociata, il lutto. La Grande Guerra e la storia del Novecento - Stéphane Audoin-Rouzeau,Annette Becker - copertina
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Descrizione


Durante la Prima guerra mondiale la violenza raggiunse vertici mai toccati nella storia umana. Ad apparire inedite furono le dimensioni complessive dello sterminio. La vastità degli eserciti gettati nella carneficina, la potenza industriale e la complessità delle organizzazioni sociali coinvolte nello scontro cambiarono il corso della guerra e con essa anche le dinamiche della morte "al lavoro". Firma l'introduzione Antonio Gibelli.
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Dettagli

2002
1 ottobre 2002
XXXIX-230 p.
9788806159238

Valutazioni e recensioni

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Valentina
Recensioni: 4/5

A mio parere, la prima guerra mondiale vista da una prospettiva più sociologica che storiografica, basata ampiamente su documenti "paralleli" (lettere, diari, indagini scientifiche, ma anche opuscoli, letteratura, testi di canzoni, studi di vario genere) che rendono il libro interessante e che portano a riassegnare alla Grande Guerra il ruolo che merita come drammatica esperienza nella storia d'Europa.

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Voce della critica

La Grande guerra come evento fondatore del Novecento. I temi sono noti: progresso che si converte in distruzione, massacri, ruolo delle ideologie. Questo libro innovativo nei suoi contenuti è un'occasione per riprendere il discorso. Capire la Grande Guerra: è il titolo che gli autori hanno dato alle pagine introduttive. Questo è il loro intento. Audoin Rouzeau e Becker vogliono infatti dare ai lettori la possibilità di riscoprire la Grande guerra alla luce dei risultati raggiunti dalla corrente storiografica alla quale essi appartengono. Conviene allora partire di qui, dal tipo di operazione che il testo compie. La Grande guerra, questo è il punto, è stata sicuramente un evento di carattere militare e politico. Gli autori, tuttavia, non si occupano precisamente di questo. Arrivano a mettere tra parentesi le forme precise che lo scontro ha assunto sui campi di battaglia. Solo Antonio Gibelli, nell'ampia introduzione che precede il testo, cita per esempio lo storico americano Leed. E proprio Leed ci ha spiegato che il nemico era spesso invisibile, non era una figura umana dai tratti ben delineati, ma un bersaglio lontano, nascosto o ridotto alle dimensioni di una sagoma informe nella terra di nessuno. Gli autori appartengono invece a una corrente storiografica che vede nella Grande guerra prima di tutto un evento culturale. Sta qui l'importanza e il limite del tentativo da essi compiuto di "capire". Ci si trova insomma dinanzi a un tentativo di fare i conti con ciò che la guerra ha significato per i popoli coinvolti, trascurando l'esperienza specifica dei soldati, le logiche degli stati maggiori, le finalità politiche dei governi.

Al posto della guerra sul campo e delle strategie contrapposte troviamo allora una certa idea della guerra. La visione largamente fondata, per molti versi illuminante, che viene offerta, ruota intorno ai tre temi enunciati nel titolo. La violenza sposta l'attenzione sul corpo, sulle uccisioni, sulle ferite e le mutilazioni. La guerra nel 1914 diventa più spietata, la volontà di sterminio prevale sul rispetto per il nemico morto o menomato. Non si permette il recupero dei cadaveri nella terra di nessuno, si spara in molti casi sui prigionieri. Importante è l'estensione dello sguardo alla sorte dei civili, maltrattati, deportati o uccisi a loro volta. Si pongono in tal modo le premesse per il trasferimento della violenza sul piano interno, a guerra finita, in alcuni paesi. Ma perché questo avviene in Russia, in Italia e in Germania, e non altrove? Su questo punto gli autori non si soffermano. Per "capire" meglio la guerra, è forse necessario guardare alla sua interna diversità e alle resistenze che pure ha suscitato. La crociata riguarda le motivazioni e le ideologie. C'è il coro dei consensi, mancano in questo libro le stonature che pure ci furono, e di vario genere. Non solo pacifiste. Qualcuno non si lasciò trascinare del tutto dalla tendenza a demonizzare il nemico. Si pensi al poeta inglese (combattente) Owen, a figure come Romain Rolland o Benedetto Croce. Quanto ai soldati, non è facile generalizzare. Umanità e disumanità potevano coesistere nello stesso individuo. Assai belle le pagine dedicate al lutto. Con Bernanos che a un certo punto vede in Hitler la personificazione vivente del milite ignoto tedesco. Lutto infinito, lutto esteso a un'intera comunità nazionale. Ci furono le eccezioni, più numerose di ciò che il libro lascia supporre; alcuni negarono il sacrificio, altri ne travisarono il senso.

C'è del resto un modo di amare che soffoca il suo oggetto. A un certo punto gli autori scrivono che "l'oggetto è obiezione come indica la sua etimologia". La Grande guerra non si sottrae alla regola. Dopo aver a lungo soggiaciuto ai loro sguardi inquisitori e appassionati, alla fine risorge davanti agli occhi del lettore con tutta la potenza dell'enigma irrisolto.

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