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Sia come "sfida rivolta all'autorità", sia come "violenza perpetrata dall'autorità", "antiistituzionale" oppure "istituzionale", la violenza politica ricopre nella storia un ruolo fondamentale. In un saggio dedicato agli "antieroi", a coloro cioè che si sono tirati indietro se posti dinanzi alla prospettiva di massacri e carneficine in nome della gloria o dell'amor di patria, Vincenzo Ruggiero, insegnante universitario a Londra e a Pisa, analizza questo tema di grande attualità partendo da Hobbes e Beccaria, passando attraverso studi anche minori, ma significativi, e rifacendosi costantemente sia agli studi criminologici, figli della temperie riformatrice illuministica, sia alle teorie sociologiche dell'azione individuale e collettiva presenti nei vari Durkheim, Mauss, Parsons, Merton. I molti casi specifici di violenza politica esaminati, oltre a dimostrare la sostanziale fallacia di alcune teorie, come quella dell'"atavismo criminale" formulata da Lombroso, consentono di applicare determinati paradigmi teorici ai fenomeni più vari (si prendono in esame anche le vicende di Raf e Br). La tematica, in sé vastissima, viene governata dall'autore con il ricorso a scansioni molto ben definite. Nelle ultime pagine, rileva finemente come la classica guerra "immaginaria" e di fantasia imbastita dai terroristi, così ricorrente nella storia umana, oggi, con la dichiarazione di "guerra al terrorismo" da parte degli americani, abbia avuto per la prima volta la possibilità di farsi reale e quindi ancor più radicale, perché ai terroristi è stato di fatto riconosciuto lo status di "antagonisti bellici". Del resto, guerra e terrorismo, scrive Ruggiero, non sono entrambe "forme di violenza degenerata"?
Daniele Rocca
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