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«È criminale uccidere la vittima perché essa è sacra ... ma la vittima non sarebbe sacra se non la si uccidesse». Questo terribile, paralizzante circolo vizioso si incontra subito, quando si esamina la realtà del sacrificio. Di fronte a esso l’ambivalenza tanto frequentemente evocata dal pensiero moderno ha l’aria di un pio eufemismo, che malamente cela il segreto non già di una pratica estinta, ma di un fenomeno che ossessiona il nostro mondo: la violenza – e il suo oscuro, inscindibile legame con il sacro. Nesso tanto più stretto proprio là dove, come nella società attuale, si pretende di conoscere il sacro soltanto attraverso i libri di etnologia: del sacro si può dire infatti, osserva Girard, che esso è innanzitutto «ciò che domina l’uomo tanto più agevolmente quanto più l’uomo si crede capace di dominarlo».
Che cosa lega, che cosa tiene insieme una società? Il «linciaggio fondatore», l’ombra del capro espiatorio, risponde Girard – e la brutalità della risposta è proporzionale alla lucidità, alla sottigliezza, all’acutezza delle analisi che a tale conclusione portano. Si tratti della tragedia greca o di riti polinesiani, di Frazer o di Freud, di fenomeni del nostro mondo o di grandi figure romanzesche, sempre Girard riesce a mostrarceli nella luce di quell’evento primordiale, sempre taciuto, sempre ripetuto, in cui la società trova la sua origine, rinchiudendosi nel circolo vizioso fra sacro e violenza.
In questo libro, che apparve in Francia nel 1972, molti ormai hanno riconosciuto il fondamento di un’opera di pensiero fra le più rilevanti del nostro tempo. Con gesto drastico, Girard è sfuggito a quelle disparate neutralizzazioni del religioso a cui l’antropologia, da decenni, ci ha abituato – anzi ha individuato in questo delicato escamotage scientista «una espulsione e consumazione rituale del religioso stesso, trattato come capro espiatorio di ogni pensiero umano». Il mana, il sacrum, il pharmakon, queste parole dal potere contagioso, cariche di ambiguità e di significati contraddittori, tornano qui al centro della riflessione, come sono di fatto al centro della vita. Ma, proprio perché, come ha osservato Girard, «la semplicità e la chiarezza non sono di moda», e proprio perché tali parole sono per eccellenza complesse e oscure, l’indagine che qui viene proposta ha un’evidenza, una nettezza, una precisione che si impongono sin dalle prime righe. E alla fine ci troveremo faccia a faccia con una constatazione bruciante sulla realtà che ci circonda: «La tendenza a cancellare il sacro, a eliminarlo interamente, prepara il ritorno surrettizio del sacro, in forma non più trascendente bensì immanente, nella forma della violenza e del sapere della violenza».
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Uno dei libri fondamentali di Girard, la violenza e il sacro è il testo in cui si gettano le basi della teoria del capro espiatorio (il suo principale filone di pensiero, al fianco della teoria mimetica), teoria che poi sarebbe stata sviluppata e approfondita in altri fondamentali scritti, tra cui "il capro espiatorio"
E' un libro sicuramente complesso, a tratti insistente nella proposta dell'ipotesi della violenza essenziale come realtà fondatrice della cultura e del religioso. Ho trovato molto interessante la riflessione sul desiderio mimetico e l'analisi che Girard offre su alcune questioni legate alla tragedia greca. Come ha scritto un commentatore, questo libro è un classico, va letto cogliendone tutti i lati positivi e tenendo presente che siamo sempre in un ambito ipotetico (!).
Ormai da tempo convertito al Cattolicesimo a tutti gli effetti ("con fedeltà piena al magistero di Giovanni Paolo II", come recito' a suo tempo una gazzetta vaticana) Girard appartiene comunque a quella "scuola del sospetto" - proprio come la psicanalisi, lo strutturalismo, il materialismo dialettico o certe follie etologiche alla Walter Burkert - che considera la civiltà umana un'impostura, una colossale finzione messa in piedi dalla cattiva coscienza: tutti gli elementi che costituiscono la cultura umana - miti, religione, valori sociali o estetici, esperienze artistiche o letterarie - non sarebbero infatti che foglie di fico per coprire la vergogna della "violenza primordiale", unico e autentico fondamento dell'agire umano. Naturalmente è stato lui, Girard, a svelare la congiura, e ora non vi è argomento - dalle conseguenze dell' 11 Settembre al conflitto israelo-palestinese, dalla bioetica al "relativismo" - su cui il Nostro non abbia da dire la Parola Conclusiva (si veda, anche in Internet, l'interminabile serie di interviste, interventi, conferenze che Girard ha prodigato e prodiga). La parte piu' nota del pensiero di Girard è la sua concezione del Cristianesimo come unica religione che - a differenza dalle "altre" - svelerebbe la natura falsa e ipocrita della "violenza primordiale" e quindi delle pratiche sacrificali e dei miti in cui si manifesta: ma la fragilità di questa posizione è evidente a tutti: se il Cristianesimo ha elimininato il sacrificio sul piano cultuale - del resto l l'atteggiamento antisacrificale era tipico del mondo tardo antico (si veda di Stroumsa "la fine del Sacrificio") - ne ha affermato la necessità sul piano teologico: il Cristianesimo è la religione del Padre che esige il sacrificio del Figlio, della necessità di versare il sangue redentore (un'oscura mitologia vagamente vampiresca). "La violenza e il sacro" è il primo e piu' importante libro di Girard: pubblicato nel 1972 è ormai un classico (poveri noi...) e quindi ognuno dovrebbe leggerlo e dare il proprio giudizio.
Recensioni
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«è criminale uccidere la vittima perché essa è sacra ... ma la vittima non sarebbe sacra se non la si uccidesse». Questo terribile, paralizzante circolo vizioso si incontra subito, quando si esamina la realtà del sacrificio. Di fronte a esso l'ambivalenza tanto frequentemente evocata dal pensiero moderno ha l'aria di un pio eufemismo, che malamente cela il segreto non già di una pratica estinta, ma di un fenomeno che ossessiona il nostro mondo: la violenza e il suo oscuro, inscindibile legame con il sacro. Nesso tanto più stretto proprio là dove, come nella società attuale, si pretende di conoscere il sacro soltanto attraverso i libri di etnologia: del sacro si può dire infatti, osserva Girard, che esso è innanzitutto «ciò che domina l'uomo tanto più agevolmente quanto più l'uomo si crede capace di dominarlo».Che cosa lega, che cosa tiene insieme una società? Il «linciaggio fondatore», l'ombra del capro espiatorio, risponde Girard e la brutalità della risposta è proporzionale alla lucidità, alla sottigliezza, all'acutezza delle analisi che a tale conclusione portano. Si tratti della tragedia greca o di riti polinesiani, di Frazer o di Freud, di fenomeni del nostro mondo o di grandi figure romanzesche, sempre Girard riesce a mostrarceli nella luce di quell'evento primordiale, sempre taciuto, sempre ripetuto, in cui la società trova la sua origine, rinchiudendosi nel circolo vizioso fra sacro e violenza.In questo libro, che apparve in Francia nel 1972, molti ormai hanno riconosciuto il fondamento di un'opera di pensiero fra le più rilevanti del nostro tempo. Con gesto drastico, Girard è sfuggito a quelle disparate neutralizzazioni del religioso a cui l'antropologia, da decenni, ci ha abituato anzi ha individuato in questo delicato escamotage scientista «una espulsione e consumazione rituale del religioso stesso, trattato come capro espiatorio di ogni pensiero umano». Il mana, il sacrum, il pharmakon, queste parole dal potere contagioso, cariche di ambiguità e di significati contraddittori, tornano qui al centro della riflessione, come sono di fatto al centro della vita. Ma, proprio perché, come ha osservato Girard, «la semplicità e la chiarezza non sono di moda», e proprio perché tali parole sono per eccellenza complesse e oscure, l'indagine che qui viene proposta ha un'evidenza, una nettezza, una precisione che si impongono sin dalle prime righe. E alla fine ci troveremo faccia a faccia con una constatazione bruciante sulla realtà che ci circonda: «La tendenza a cancellare il sacro, a eliminarlo interamente, prepara il ritorno surrettizio del sacro, in forma non più trascendente bensì immanente, nella forma della violenza e del sapere della violenza».
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