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Anno edizione: 1999
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Scrivere una vita di Emily Dickinson oggi è un atto di passione o di immaginazione ancor prima che un’ardua ricerca in territori già esplorati.I grandi studi biografici pubblicati in America tra il 1938 e il 1974, e poi i ritratti, le monografie, le indagini femministe e postfemministe moltiplicatesi dopo il 1986 – centenario della morte – hanno circuito sempre più da vicino l’enigma di Emily.E infine le trasposizioni narrative e teatrali hanno eluso le strettoie del biografismo spostando l’attenzione dall’accaduto al possibile: fino al recentissimo ironico The Belle of Boulder – scritto per il palcoscenico da due illustri studiose americane –, in cui Emily si è trionfalmente trapiantata nel dorato West.Al biografo non resta che un esiguo varco tra lucidità erudita e audacia interpretativa.Emily stessa, affermando in una lettera che l’"abisso non ha biografi", sembra aver profeticamente sfidato chi osasse affacciarsi ai suoi baratri interiori per colmare i vuoti della storia o verificare l’origine della leggenda.Un’esistenza come la sua, sigillata sotto lo smalto della quotidianità, e insieme sbalestrata e sconvolta dal quotidiano esercizio della poesia, impone a chi la racconti due alternative: conciliare la figura storica (1830-1886) della "reclusa" con le abissali profondità della sua parola oppure ricreare il mistero dell’insolubile doppiezza che domina una vita inventata quanto l’opera. Di slancio rispondendo alla sfida Barbara Lanati, studiosa appassionata e sensibile traduttrice dell’opera dickinsoniana, ha inteso ricongiungere Emily – "un’intelligenza adamantina (...) e insieme una donna ‘qualunque’ vissuta nell’Ottocento" – con la sua parola eccessiva, esorbitante, consapevolmente destinata ai lettori del futuro; e ha sapientemente ritorto e riannodato i fili di quell’"arazzo prezioso e liso" che è la trama del suo vivere. Al centro una figura femminile dalla "bocca tenera e sensuale" e dagli "occhi malinconici e allo stesso tempo ben disegnati", ma "senza corpo"; intorno un gruppo folto di uomini donne bambini, alcuni "senza volto", e "libri affastellati e sparsi, fiori, felci (...) tralci di glicine". Per restituire l’icona di Emily ai colori e ai chiaroscuri della vita, Lanati ne dissipa l’aura di sacralità; la rende familiare stringendola in una rete balenante di aggettivi inediti che definiscono il suo temperamento di "eterna ragazza" mai cresciuta. Emily è "quella figlia curiosa, cocciuta, coerente ed educatamente testarda" senza la quale la dinastia dei Dickinson sarebbe oggi innominata. È la piccola provinciale "misteriosa e un po’ nevrotica" di cui nessuno sospetta "le sterminate letture" e "la cultura poliedrica". È la trentenne "lucida, saggia, fredda (...) allucinata per scelta", ormai prossima a vestirsi di bianco e a esiliarsi nella casa paterna.Perché? La narrazione si apre a tutte le domande che hanno avuto nel tempo risposte varie e contraddittorie per costruirsi su un’interrogazione all’infinito come infinito è il gioco di riflessi tra gli eventi e i testi.Se si abolisce la terra di nessuno tra vita e poesia, se si ritagliano le parole dai giorni, allora la persona storica appare segnata quanto l’artista dal marchio di una diversità che la spinge a una separatezza interiore e mentale prima che fisica e visibile nell’abito. Scorciando i tempi incantati dell’infanzia e quelli intrepidi dell’adolescenza, Lanati giunge presto agli anni decisivi in cui Emily si ritrova al crocevia delle passioni proprie e degli altri e inizia quel gioco di seduzione e di distanziamento, di resa apparente e di fuga nella parola che la poesia registra in arcane coincidenze.C’è, in lei, un eccesso d’amore che sgomenta, un’"idolatria" che allontana chi ne è l’oggetto: un’energia dilagante che si convertirà totalmente in espressione poetica.Ponendosi "al di là di una qualsiasi identità sessuale", la giovane "Emilie" – come si firma per qualche tempo – sogna "una perfetta unione a tre" fra se stessa, Susan – la futura cognata di cui "si innamora perdutamente" –, e Austin – il fratello complice e rivale –, quasi ignorando che è lei sola a correre il rischio dell’abbandono.Lanati confronta in filigrana gli espistolari di Emily, dei familiari, degli amici per ricostruire la complessa storia di questo triangolo, e di quell’altro, più insidioso, intreccio di passioni che fa del salotto intellettuale di Susan – sposata ad Austin e "prima donna" di Amherst – una sorta di Bloomsbury puritana.Emily s’innamora di Kate Scott – "la ragazza vestita di nero" o "Condor Kate" – da cui è attratto anche Samuel Bowles, giornalista brillante e grande seduttore, che, a sua volta, è per Emily oggetto di un sentimento profondo.Sembra un gioco in cui provare le proprie potenzialità erotiche; ma qualcosa le si spezza "dentro" quando avverte che quel gruppo di amici esperti d’intrighi e ipocrisie rende l’aria irrespirabile a lei, tanto più scandalosamente libera.Attraverso lo squarcio irrompe la poesia, mistica e sensuale, nata nel "cortocircuito" tra corpo e mente: sono gli anni, intorno al 1862, in cui Emily scrive nuovi testi e altri ne trascrive in un’accelerazione che la sposta in uno spazio esclusivamente suo, nel recinto stregato del giardino paterno.Quando si ritroverà al vertice di un altro triangolo Nel collocare Emily al centro di una fitta trama di rapporti familiari e sociali Lanati mira a reintegrare la figura "senza corpo" dell’arazzo.Quel corpo mancante lo ricrea a colpi di parole: fedele, nelle molte citazioni, allo splendente alfabeto che Emily ha ideato per scrivere di un incontro repentino, di una morte, di un’estasi.I "si racconta" e i "sembra" che scandiscono questa biografia ne indicano la qualità indiziaria; molto, ancora, è materia di divinazione.Ma, nel confronto con quel documento assoluto che è la sua parola, la vita di Emily Dickinson si frantuma e si ricompone, di pagina in pagina, in nuove figure possibili che il lettore è chiamato a decifrare."Archeologo" e "ladro", come si definisce nel suo ruolo di biografo, Barbara Lanati ci consegna un suo disegno del labirinto lasciando a ognuno di noi la libertà di perderci nei sentieri biforcati.
recensioni di Bulgheroni, M. L'Indice del 1999, n. 02
– meno noto e qui puntigliosamente ridisegnato – la corazza della poesia la preserverà da altre ferite.L’intrigo è, questa volta, letterario.Ma né Aigginson, il critico "ambiguo e arrivista" che pure ha eletto a suo "precettore", né Helen Hunt Jackson, che intuisce il suo genio, ma saccheggia i suoi segreti per fare di lei la protagonista di un romanzo di successo, riusciranno a scalfirla. Pur così vicina – in un’America che la rifiuta, ma non cessa di incuriosirla – lei abita ormai altrove.
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