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Vita di Napoleone
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1999
Tascabile
26 marzo 1999
XXVI-294 p.
9788811588238

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gprbzz@tin.it
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E’ arcinota la venerazione che Stendhal ebbe per Napoleone, e a chi la condivide e non lo abbia letto questo potrà sembrare il libro giusto sull’uomo giusto. Ma non è così, e nessuno nel vasto e controverso mondo della storiografia sbaglia come chi ciò pensa. Quest’opera, mai pubblicata dall’autore, e anzi nemmeno mai rifinita, è una furiosa serie d’appunti, e di malscritti e raffazzonati spunti (altro che la mirabile concisione de Il rosso e il nero!) contro l’Imperatore. Cui Stendhal non risparmia un’accusa che sia una, rimproverandolo d’avere stupidamente sprecato, per scarso ingegno politico, per debolezza caratteriale e per vanità, – lui che poteva! - l’occasione di cambiare il mondo. Ci è noto quel che possono, nell’animo dei puri, le delusioni d’amore, ma francamente l’innamorato Stendhal ci ha sbalorditi. E a M.me De Stael e ai conservatori che anche ora che nella polvere di Sant’Elena quel Grande, impotente e disperato, giace lo demonizzano, risponde: - dite che Napoleone fu un tiranno, un despota sanguinario? No, egli fu solo un pusillanime cui mancò sempre il coraggio di osare; - sostenete che mise a ferro e a fuoco l’intera Europa? Al contrario; egli non iniziò mai una guerra e quando mosse i suoi eserciti lo fece solo per difendersi. E quando avrebbe potuto distruggere l’Austria e la Russia molti inopportuni scrupoli lo colsero e con le paci di Campoformio e di Tilsit irragionevolmente rinunciò a mettere la parola fine alla storia della vecchia Europa; - lo calunniate dicendo che fu spietato con i realisti, i nobili e i fuoriusciti? Mentite sapendo di mentire; egli si rovinò con le sue stesse mani usando loro una eccessiva indulgenza, e mai risolvendosi ad estirpare la malapianta che rigogliosa gli cresceva intorno e più e più volte attentò alla sua vita. - lo criticate dicendo che fu un autocrate che soffocò il respiro democratico del Paese? E’ vero solo il contrario, giacché fu propr

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Stendhal

1783, Grenoble

Pseudonimo di Henri Beyle. A sedici anni si trasferisce a Parigi dove si impiega al ministero della Guerra. Nel 1800 raggiunge l'armata napoleonica in Italia e lavora come impiegato nell'amministrazione imperiale, viaggiando in Germania, Austria e Russia. Dopo la caduta di Napoleone si stabilisce in Italia, abitando soprattutto a Milano. Torna a Parigi nel 1821, vive collaborando a riviste con articoli di critica artistica e musicale. Dopo la rivoluzione del 1830 e l'avvento di Luigi Filippo viene nominato console a Civitavecchia. Muore a Parigi. Le sue opere principali sono: "Considerazioni sull'amore" (1822), "Il Rosso e il Nero" (1830), "La Certosa di Parma" (1839), "La Badessa di Castro" (1839), "Vita di Henry Brulard" (1890), "Ricordi d'egotismo" (1892), "Lucien Leuwen" (1894).

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