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Descrizione


Due uomini e un ragazzo si stagliano contro l'orizzonte in un infuocato tramonto africano. Una catena di speranza e coraggio li ha condotti fin lì. Forza consumata senza risparmio. Vita di vita. Khaliq, nato in Sierra Leone, è sopravvissuto a esperienze estreme. Cresciuto alla Città dei Ragazzi, storica comunità educativa dove insegna Eraldo Affinati, adesso lavora in un bar. Il giovane e l'adulto hanno stretto un patto: se il figlio avesse riabbracciato la madre perduta, il professore sarebbe andato a conoscerla. Questo libro racconta un viaggio attraverso la periferia di una grande città fuori controllo verso il villaggio lontano in cui una donna attende fiduciosa. I cieli africani, il buio vero, la luce accecante, la polvere negli occhi ardenti di bambini in tripudio per un pallone. Eraldo Affinati, accompagnato da un amico avvocato, sprofonda dentro se stesso: "Cosa vuol dire essere un insegnante? Mettere in grado chi hai di fronte di ascoltare la voce del suo maestro interiore. Ricucire gli strappi. Versare acqua sulla spugna secca...". I messaggi che riceve dagli studenti rimasti a casa lo riportano alla storia martoriata del Novecento, in profonda risonanza con tutta la sua opera. Le radici strappate di Khaliq vengono raccolte dai fantasmi dei partigiani trucidati dai nazisti, i quali sembrano consegnare ai nostri adolescenti il testimone della loro giovinezza spezzata, rinnovando agli occhi dello scrittore il valore dell'azione paterna senza ricambio, né compenso.
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Dettagli

2014
163 p., Brossura
9788804634805

Valutazioni e recensioni

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ant
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E' la storia di un ricongiungimento, Khaliq ragazzo gambiano allievo del prof protagonista che ritrova sua madre, allo stesso tempo è un libro per riflettere sulle condizioni umane e interiori di ognuno di noi, attraverso il viaggio e gli incontri sia il prof che Khaliq acquisiscono nuove consapevolezze e si arricchiscono umanamente uno con l'altro scambiandosi opinioni. Khaliq ,prima di approdare a Roma e diventare un apprezzato barista , ci narra delle mille peripezie che ha affrontato e delle condizioni di vita anche estrema che ha subito. Il prof ,che poi è l'autore del libro, ci narra dela scuola per ragazzi emarginati e con problemi adolescenziali che ha creato a Roma, la "Città dei Ragazzi". Concludo estrapolando un passaggio in cui si parla del Gambia ""Questo penso , è un popolo abbandonato al proprio destino. Unica colonia britannica in mezzo a una regione tutta francofona. Dopo che gli occupanti se ne andarono, il Gambia restò così come lo vedo ora: simile a un ragazzino scontroso seduto di fronte al mare.La classe dirigente non si è mai formata""" Bello

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Voce della critica

  Nell'ultimo romanzo di Eraldo Affinati sono tante le storie che s'intersecano e sovrappongono: quella di Khaliq, un ragazzo fuggito dal Gambia e approdato in Italia, quella degli scolari romani di Affinati, ma anche quelle dei giovani morti durante le due guerre mondiali e degli abitanti del villaggio di Sare Gabu, dove vive la madre di Khaliq. Questi fili tessono la trama di un'esperienza capace di mutare una vita, di trasformarla in vita di vita: come già accadeva in Peregrin d'amore, anche in questo caso la scommessa di Affinati è quella di trovare il ponte capace di connettere vita e letteratura. La letteratura (quella intrisa di lacrime e sangue delle lettere dal fronte o dei condannati a morte, ma anche Levi e Montale, Leopardi e Verga) non è solo il contrappunto dell'esperienza: ne è la linfa, il completamento, il senso profondo: "Ho incontrato Khaliq per caso, a scuola. Lui mi ha fatto leggere un tema. Prof, ti racconto mia storia. Scatta una scintilla. Il fuoco divampa. E ora sono qui nella casa ritrovata dopo la tempesta. Vivi e morti si stringono la mano. È questo il gran convegno di studi sulle nostre teste che i vecchi maestri hanno chiamato filosofia, religione, letteratura?". Così, quando Khaliq racconta per tappe la sua storia italiana (il viaggio travagliato, la scuola, l'impiego da barista, l'iniziale diffidenza delle vecchiette romane che mai si direbbero razziste eppure non vogliono essere servite da lui), il commento dell'autore è inevitabile: "Resisti Khaliq…Tutto ritorna, in forma nuova… Deso quele vechiete voiono che io servi loro… Le hai conquistate… Questo è quel mondo? Questi i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi onde cotanto ragionammo insieme? Questa la sorte delle umane genti?". È poesia che si fa prosa, tradizione letteraria che innerva la vita. Vita di vita, appunto: letteratura che "certifica i singhiozzi. Documenta le fughe. Rappresenta le crisi. Celebra le vittorie". Il viaggio africano di Affinati, in compagnia dell'amico Gerry e di due guide locali, Sefu e Babu, potrebbe risolversi come semplice viaggio di indagine e studio, potrebbe essere una versione contemporanea del viaggio di Gulliver, o di quello di Malinowski. In realtà il modello, dichiarato tra le righe, è quello archetipico di Enea. Stretto tra due generazioni, tra il padre Anchise e il figlio Ascanio, il narratore sa che il suo è in primo luogo un viaggio di testimonianza, finalizzato ad attestare la verità del racconto di Khaliq, a garantire la realtà della sua esperienza, a dare legittimità al suo sogno di una patria nuova: l'Africa diseredata e depredata è la novella Troia che Khaliq porta nel cuore (ove, come Enea, lascia affetti e radici) e che necessariamente deve abbandonare per realizzare un mondo migliore, a Talia. Khaliq è tutti gli orfani del mondo, ma è anche colui che consente di riconnettere i fili spezzati, di riannodare le corrispondenze affettive al di là del tempo, dello spazio. Più che essere un resoconto sulla realtà africana oggi, e sulla condizione dei migranti, questo romanzo (questa in effetti è la dicitura utilizzata nel sottotitolo) ha al centro il rapporto padri-figli: quello di Affinati con i propri allievi, quello dei giovani soldati della prima guerra mondiale con le loro famiglie e con la patria, quello di Khaliq con la madre ritrovata e ancora quello del narratore con il bambino africano che porta il suo nome, Babucar Bacari Eraldo Affinati. L'esperienza testimoniata da Vita di vita è radicale, non consente sconti o scorciatoie, ma come ogni radicalità, per essere narrata, ha bisogno di limiti: per questo non siamo di fronte a un mero reportage, perché ci sono cose che "è bene che restino senza memoria, come quelle che primo Levi tenne per sé a Fossoli": anche Affinati è convinto che non serva volere a tutti i costi illuminare le zone più buie dell'umano, come se ciò bastasse ad affrancarci dal dolore, dalle miserie della storia. Al contrario, l'operazione (riuscita) di Affinati è piuttosto quella di "ricomporre i pezzi" di una storia, mirare a un disegno generale, a un mosaico alluso per frammenti, come è frammentario eppure efficacissimo l'italiano pieno di sospensioni e di incertezze del giovane Khaliq. In effetti, Vita di vita è sì un reportage di viaggio, un saggio antropologico ma soprattutto è un'opera ibrida che contiene al suo interno una grande scommessa stilistica: attribuire dignità letteraria all'italiano degli immigrati, affiancare le esperienze linguistiche di Khaliq, dei borgatari romani, dei giovani caduti durante del guerre del XX secolo, e dei nostri padri letterari. L'happy ending riguarda Khaliq, ma sarebbe ingannevole estenderlo oltre: per questo il libro si chiude con la Lettera ai responsabili dell'Europa, trovata nel 1999 nei pantaloni di due ragazzi fuggiti come Khaliq da Conakry, e rinvenuti cadaveri nella stiva di un aereo, assiderati. Per questo l'ultima pagina del romanzo è la confessione di un fallimento educativo: la violenza verbale e fisica di un allievo, che accusa il professor Affinati di averlo rovinato, di averlo condotto all'insuccesso e alla sconfitta, non sancisce l'inutilità della quotidiana impresa, bensì è il frammento che non combacia, e che rende più umani.     Chiara Fenoglio  

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Conosci l'autore

Eraldo Affinati

1956, Roma

Eraldo Affinati vive nella capitale e insegna alle scuole superiori. È tra i più importanti narratori che si sono rivelati negli anni Novanta. Ha esordito con un saggio nel 1992, Veglia d'armi. L'uomo di Tolstoj. La sua prima opera di narrativa è del 1993, Soldati del 1956. Ha un grande successo di critica soprattutto con Bandiera bianca (1995) e Campo di sangue (1997), entrambi editi da Mondadori. Nel 1998 ha pubblicato la raccolta di racconti Uomini pericolosi e nel 2001 il romanzo II nemico negli occhi. L'anno successivo, sempre per Mondadori, ha dato alle stampe un ritratto biografico del teologo Dietrich Bonhoeffer, Il teologo contro Hitler. I suoi ultimi romanzi sono Secoli di gioventù (Mondadori, 2004) e La città dei ragazzi (Mondadori, 2008). Nel...

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