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Un saggio davvero interessante e approfondito che getta luce su un tema complicato. Consigliato!
Uno studio molto interessante soprattutto per le fonti: i diari di tedeschi comuni. Ne risulta un quadro molto chiaro e inquietante del consenso, dell'adesione convinta, dei supporti retorici e propagandistici con cui il popolo di Kant si lasciò sedurre dall'imbianchino di Braunau. E di come poi, per almeno venticinque anni, cercò di convincersi di non aver fatto che il proprio dovere, tentando di normalizzare o minimizzare le dimensioni dello sterminio. Revisionismo e negazionismo nati, insomma, dal basso. E lì rimasti.
Il libro ripercorre come il nazismo sia cresciuto e abbia alla fine conquistato i cuori, le menti dei tedeschi accecandoli e portandoli alla rovina e la vergogna. Lo racconta dal punto di vista non del potere centrale, ma dei tedeschi stessi, attraverso le loro lettere, il cambiamento del loro vocabolario quotidiano e delle abitudini individuali e collettivi. Quattro capitoli scritti in modo non accademico, né freddo, ma con un linguaggio da cui traspare angoscia, paura, speranza, frenesia… il linguaggio e le voci dei tedeschi durante il nazismo.
Recensioni
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"Nuotare controcorrente non fa che peggiorare le cose", fu la disincantata conclusione cui giunse nel 1937 uno degli anonimi testimoni cui è restituita voce in questo interessante lavoro, nel quale Peter Fritzsche, docente di storia presso l'Università dell'Illinois, affronta in maniera originale il tema estremamente complesso del rapporto tra il nazismo e i tedeschi. Richiamandosi all'intenso dibattito avviatosi all'indomani della pubblicazione del controverso volume di Daniel Goldhagen (I volenterosi carnefici di Hitler, 1996; Mondadori, 1997), l'autore intende qui approfondire le modalità con cui il nazismo tentò di rigenerare la vita nazionale tedesca all'indomani della catastrofe della prima guerra mondiale e, al contempo, analizzare il grado di identificazione della popolazione con il nuovo ordine politico e razziale.
In altre parole, il proposito dell'autore consiste essenzialmente nel comprendere, da un lato, in che modo il regime hitleriano stimolò i tedeschi ad agire come unità etnica cosciente di sé e nel capire, dall'altro, fino a che punto essi divennero, sia pure in maniera non sempre lineare, consapevoli nazisti capaci di compiere scelte intenzionali anche al di là dei limiti imposti dalle convenzioni morali. Ma, è bene sottolinearlo, la tesi di Fritzsche non si limita a suggerire indirettamente l'idea che i nazisti siano stati più numerosi di quanto non si sia creduto sinora. La premessa fondamentale dalla quale egli parte è che il solo terrore e la sola seduzione ideologica non sarebbero di per sé sufficienti a spiegare la sostanziale adesione dei tedeschi al nazismo, il quale, in realtà, offrì un'ampia gamma di modalità di partecipazione. In tal senso, anziché semplici spettatori o vittime inconsapevoli, i tedeschi assunsero sì comportamenti molto diversi tra loro, reagendo, a seconda delle circostanze e degli itinerari individuali, con paura, con opportunismo e con gradi differenti di convinzione, ma finirono in ogni caso per ritrovarsi, nel quadro di un processo di progressiva standardizzazione delle proprie prospettive ideali, alle prese con le stesse domande cruciali.
A prescindere dalle diverse conclusioni cui giunsero sul piano individuale, i tedeschi questa la vera e propria tesi dell'autore si posero insomma sullo stesso piano ideologico del nazismo, finendo, più o meno inconsciamente, per adattare alla vita quotidiana le idee del regime. Al progressivo instaurarsi di questa fitta trama di complicità contribuirono in maniera decisiva il contesto catastrofico dei primi anni venti e l'accettazione della necessità di un'alternativa radicale, anche a costo del ricorso alla violenza. Ma, più in generale, vi contribuirono soprattutto quelle complesse dinamiche di mobilitazione collettiva che avevano segnato a fondo la società tedesca sin dal 1914 e che, nella situazione emergenziale venutasi a ricreare all'indomani del 1939, accelerarono ulteriormente il processo di nazificazione della popolazione tedesca. Un processo generalizzato di cui, secondo le analisi svolte da Fritzsche nell'ultimo capitolo del suo lavoro, costituiscono significative riprove sia lo sforzo di rimozione dell'Olocausto, sia lo sforzo di autoassoluzione compiuti all'indomani del 1945.
Federico Trocini
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