La vita senza i figli

Credo che questo libro non abbia ricevuto l'attenzione che avrebbe meritato. 𝘓𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢 𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘪 𝘧𝘪𝘨𝘭𝘪, tradotto per Guanda da Stefania De Franco, raccoglie dieci racconti scritti tra il 2014 e il 2020: tre erano già stati pubblicati dal 𝘕𝘦𝘸 𝘠𝘰𝘳𝘬𝘦𝘳, uno era apparso sull'𝘐𝘳𝘪𝘴𝘩 𝘛𝘪𝘮𝘦𝘴. Quasi tutte queste storie ci riportano alla pandemia di COVID-19 e ai giorni del lockdown: tempi che ci sembrano già lontanissimi e che ora la memoria collettiva identifica con una fase di generale sospensione – della libertà di movimento, della socialità, della didattica tradizionale, di molte attività lavorative e anche della capacità d'immaginare il futuro. Le pagine di Roddy Doyle, sostenute da dialoghi serrati e da una prosa asciutta, fotografano scene di vita quotidiana con ironia e commozione, senza retorica, forti di una tecnica narrativa affine a quella del primo Hemingway. Raccontano l'inquietudine di chi non ha avuto dalla propria vita ciò che desiderava e la paura di chi combatte il virus dalla linea del fronte, la malinconica placidità del tempo che passa – tra nuove serie TV e vecchie playlist – e l'illuminata follia di chi vede in una situazione sconvolgente la giusta occasione per recuperare il tempo perduto. La città di Dublino, ci assicura infine Doyle senza il minimo sentimentalismo, nel momento della verità sa essere davvero gentile.

Il titolo più corretto di questo libro sarebbe stato La vita senza i figli durante il lockdown, perché tutti i racconti sono ambientati durante il periodo della pandemia, e non descrivono tanto la ben nota sindrome del nido vuoto e gli effetti che questa ha anche sulla relazione di coppia, quanto gli effetti che lo stare chiusi in casa per lungo tempo ha su questi genitori, che avvertono ancora di più la mancanza dei figli perché ormai abitano fuori casa e non hanno modo di vederli per le restrizioni, oppure se li ritrovano improvvisamente tutti di nuovo in casa, perché sono tornati durante per via del lockdown. Alcuni racconti sono molto intensi, altri, per effetto di un eccessivo non detto, non sono ben definiti. Quasi tutti hanno comunque un finale aperto che suscita un moto di speranza: il nido vuoto – ma anche il lockdown – diventano l'occasione per riscoprirsi come coppia oppure per ritornare genitori per un breve periodo o, ancora, per prendere decisioni e dare vita a un cambiamento.