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Siamo tanto assuefatti al cinema e alle storie inverosimili, coscienti della finzione, ma avidi di spettacolarità, che, a leggere il libro di Santino Gallorini sulle gesta eroiche di Gianni Mineo, rimaniamo indifferenti, convinti di una finzione, delusi per gli effetti speciali. Siamo avvelenati dalla deriva (s)fascista, dal berlusconismo mediatico da un’indifferenza verso l’Italia, la sua storia e gli uomini che l’hanno fatta, a tal punto da ritenere ogni storia, ogni racconto, ogni testimonianza, ogni esperienza una prova di una malafede, di una menzogna a uso e consumo dell’interesse di qualcuno. Per questi motivi non siamo abituati alle storie come quella di Gianni Mineo, partigiano bagherese diventato “eroe della Chiassa” per aver salvato 200 persone a pochi minuti dalla fucilazione che i tedeschi avevano ordinato come rappresaglia al rapimento, da parte di una banda di slavi evasi dopo l’8 settembre dal campo di concentramento di Renicci, del colonnello von Gablenz. La storia della Resistenza e dei partigiani è prima di tutto storia di donne e di uomini, che hanno fatto la scelta da che parte stare. La parte di chi ha lottato per cacciare i tedeschi dalla penisola e liberare l’Italia. Gallorini, con metodo storico e intuito di cacciatore di tracce, ricostruisce attraverso le fonti, le testimonianze dei sopravvissuti e le memorie lasciate da Gianni Mineo, un capitolo della Resistenza, che insieme con le altre pagine di storia di quei tragici anni ’40, contribuisce a rendere più chiara la storia italiana e chi sono gli italiani, che hanno permesso un riscatto democratico di una nazione stuprata dalla dittatura fascista. Il merito di Gallorini è di aver reso questo libro importante sotto molti aspetti, di cui due ritengo essere essenziali. Inutile ribadire poi il contributo che questo libro dà alla storia di Arezzo e della Toscana, e nello stesso tempo alla storia della Resistenza, e in particolare del contributo dei siciliani alla liberazione dal nazifascismo.
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