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Studiare "il rapporto tra individuo e società nell'Italia dell'Ottocento, visto attraverso la narrazione autobiografica", significa aprire la ricerca storiografica alla soggettività e alla psicologia, "mettere in crisi i confini tra storia e letteratura", contaminare la dimensione collettiva con quella individuale e privata. Questa sfida è raccolta dagli storici con frequenza sempre maggiore negli ultimi anni, come dimostra il libro di Luisa Tasca, che traccia una vera e propria tipologia della scrittura autobiografica italiana. Esaminando la dislocazione geografica, l'estrazione familiare, il profilo professionale e le reti relazionali degli autori, è infatti possibile individuare alcune "figure" del racconto autobiografico che non sono semplici temi letterari, ma veri e propri marcatori collettivi. In tal modo si delinea il "perimetro dello spettro sociale e storico del 'raccontabile' nell'Italia dell'Ottocento", senza chiudersi però in metodi puramente statistici e con un'attenzione alla concreta "presenza di uomini e donne" che conferisce alla ricerca particolare efficacia. L'analisi condotta sul repertorio così individuato, anche se a volte un po' frammentaria e costruita come un catalogo (peraltro utilissimo), permette di concludere che "gli italiani delle autobiografie ottocentesche sono individui moderati, ragionevoli, poco poliedrici, mossi da una forte ambizione lavorativa, sufficientemente adeguati alle norme sociali e con una buona presa sul reale". È una diagnosi che si aggiunge all'altra, sulla limitata presenza della "cornice storica" contemporanea in questi scritti, e ben corrisponde a una società che progressivamente si chiude su se stessa dopo gli entusiasmi risorgimentali: l'italiano dell'Ottocento è sovente un "animal laborans", ma è anche tormentato da un "bisogno inappagato di riconoscimento".
Rinaldo Rinaldi
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