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Non solo per la ricorrenza del centenario della nascita di Giuseppe Vittorio Guglielmo, detto Vittò (1916-2002), è stato utile ristampare in edizione ampliata questo studio biografico su un carismatico protagonista della Resistenza ligure. Nell’esperienza di Vittò, che Calvino ebbe a modello del comandante Ferriera nel Sentiero dei nidi di ragno (1947), si riflette un itinerario che abbraccia tutte le traversie di un antifascismo vissuto armi in pugno, da partigiano internazionalista. Lupi ha svolto un lavoro egregio, suffragandolo di ogni accessibile documento e arricchendolo di un eloquente corredo iconografico. Nel 1937 il partigiano sanremese è a Madrid, a difesa della repubblica. Non gli viene risparmiato l’internamento nei campi francesi. Quindi, come comandante Ivano, partecipa nelle file della brigata Cascione alla Resistenza ligure. Nel dopoguerra è tra quanti subiscono persecuzioni giudiziarie fino al carcere, perché sospettati di preparare un’insurrezione armata. Vittò non si era disfatto delle armi e un’ispezione fece scattare l’arresto. Ripensando a quella vicenda Vittò non usò mezzi termini: “Così praticamente mi hanno ucciso, non fisicamente, ma mi hanno ucciso moralmente, hanno cercato di eliminarmi in questo modo”. Appare evidente come in lui sentimento patriottico e progetto di un avvenire comunista si saldino in inscindibile unità. In una lettera che un gruppo di compagni gli indirizzò quando era in carcere (ottobre 1948) si leggono accuse pesanti al ceto dirigente insediatosi al sorgere della Repubblica: “Ma quegli uomini non potranno cancellare la nostra epopea e noi domani risorgeremo al di sopra delle loro calunnie”. Vittò finì i suoi giorni raccontando una vita animata da straordinario coraggio. Il suicidio che siglò la sua esistenza fu un atto di volontà coerente con chi aveva guardato in faccia la morte senza paura.
Recensione di Roberto Barzanti.
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