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Che cosa è stato il XX secolo per l'architettura e come parlarne? Il libro di Vittorio Gregotti raccoglie una cinquantina di frammenti e li dispone palesando fin dall'inizio il senso del suo raccontare: la ricostruzione di un percorso di discontinuità e continuità critica nei confronti del progetto moderno. I frammenti sono autobiografici: la posizione centrale che Gregotti laureatosi nel 1953 occupa gli permette di guardare alla seconda parte del secolo ma anche di ricostruire numerose tracce della prima. L'ordine cronologico a ben guardare compone tre piani di ragionamento.
Il primo è quello dei ricordi di un'esperienza biografica eccezionale tenacemente inseguita che lo ha portato a intersecare i luoghi le situazioni e i protagonisti dell'architettura del Novecento. Una folla di persone in un ritmo serrato di richiami: gli storici litigiosi i filosofi amici da non mettere troppo assieme e poi scrittori musicisti cineasti artisti editori e naturalmente buona parte del panorama architettonico della seconda metà del secolo. Basta un'occhiata all'indice dei nomi per rendersi conto dell'ampiezza del campo. Un universo quasi esclusivamente maschile richiamato attraverso gli incontri le citazioni le cose chieste e avute. Cose su di loro e cose dette da loro.
Max Ernst che parla della città nei termini di un ammasso di prossimità in cui è l'inestricabile a determinarne la sostanza. Le Corbusier con lo sguardo miope che parla di modelli e quando smette con i modelli costruisce Ronchamp. Alcuni ripropongono come in un gioco di specchi altri autori e situazioni ancora più lontani: Pollini racconta il formarsi del Gruppo 7 o Cor van Eesteren il piano di Amsterdam della metà degli anni trenta Henry van de Velde novantatreenne nella sua casa sul lago Zug che ricostruisce l'arte nuova del XIX secolo. Ma anche presenze silenziose: August Perret che compare elegantissimo nello stanzone con lunghi banchi di legno allineati dello studio in rue Raynouard. Questo primo piano di aneddoti ricordi fotografie è anche il piano che ricostruisce situazioni locali: la tensione trasformativa di Milano nel decennio 1958-1969; il ruolo internazionalista di Torino; la celebratissima Bocca di Magra definita ironicamente un luogo speciale per gli esercizi di villeggiature; Palermo all'inizio anni sessanta: una società divisa accuratamente in strati apparentemente non comunicanti. Ma anche i grandi palcoscenici dell'architettura mondiale: Hoddensdon e la fine dei Ciam Darmstadt e la lettura di Heidegger di Costruire abitare pensare la Parigi di Perret quella di Le Corbusier e quella di oggi; Tokio con Isozaki Venice di Charles e Ray Eames Londra degli anni sessanta i paesi balcanici Mosca Berlino. In questi frammenti l'architettura è l'avventura esistenziale di alcune persone in alcuni luoghi e del poggiarsi della loro opera su circuiti ampi solidamente intrecciati.
Vi è poi un piano intermedio evocato indirettamente. Riguarda quello che potremmo chiamare nel linguaggio di Bourdieu lo strutturarsi del campo d'azione. Innanzitutto il ruolo di mediazione culturale di alcune riviste. Una parte non irrilevante dei grandi architetti del XX secolo è conosciuta da Gregotti per via del lavoro redazionale condotto per Casabella. La rivista certo era un po' speciale. Ma forse non è solo questa sua specialità a spiegarne la capacità di sostenere circuiti straordinari. Altre riflessioni riguardano le relazioni familiari: la biblioteca vicino a casa di Annibale Rigotti che diventa la biblioteca degli anni di studi dove Gregotti scopre D'Aronco gli allievi di Otto Wagner e il trattato di Bernardo Antonio Vittone. Altre ancora riguardano i modi di muoversi (in un momento in cui viaggiare era avventuroso e raro) di studiare e praticare la professione con il mutare nel tempo del problema della committenza. Entro questo secondo piano potrebbe collocarsi la riflessione sulla sua generazione che con uno scarto a sorpresa Gregotti definisce dell'incertezza.
Infine in un piano ancora più sullo sfondo si ritrovano alcune salde convinzioni qui presentate più pacatamente che non in altri testi. L'atto di fiducia nella capacità fondativi della storia che seppure non dice nulla sulle direzione da prendere tuttavia rimane il nostro indispensabile terreno su cui camminare su cui misurare anche la propria biografia come storia. Soprattutto un ripensamento profondo e continuo del rapporto tra architettura e società. Per Gregotti la modernità del Novecento è oppositiva rispetto alla società. Spezza quel nesso che alla fine del XIX secolo pure permaneva la capacità di alcuni (Gregotti pensa a Behrens) di vivere il rinnovamento del proprio fare come dovere etico nei confronti di una società senza perdere la capacità di rappresentarne la parte migliore della classe al potere. Nel Novecento tutto diventa atteggiamento critico e oppositivo. Le avanguardie hanno un ruolo centrale in questo. Fino agli ultimi decenni del secolo forse. è in questa opposizione che diviene rintracciabile la storia del progetto moderno e lo stesso senso che il XX secolo ha per l'architettura. Di Julius Posener Gregotti scrive: Parlare con lui era come leggere una biografia del moderno. Non diversa è l'impressione che offre la lettura di queste schegge.
Cristina Bianchetti
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