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Libro scritto bene, scorrevole descrive gli avvenimenti in maniera chiara e comprensibile. Per cui per la parte stilistica nulla da ridire, certo che se andiamo a valutare il lato storico e ideologico dello scritto il discorso cambia. Viene presentato come un libro diverso da quelli propagandistici scritti dagli autori di sinistra in questi anni e poi lui cade nello stesso tranello ma dall'altra parte ... Difficile vedere avvenimenti di questa portata con la giusta "distanza" ma almeno non facciamo credere di esserci riusciti ....
Ho letto molti dei libri scritti da Petacco, e ho sempre ammirato la sua capacità di riportare gli eventi storici in modo imparziale, senza lasciar trasparire la sua personale posizione. Questo libro però l'ho trovato un po' fazioso, poco distaccato, a tratti superficiale e addirittura mi sembra di aver riscontrato alcune inesattezze. Non avessi letto il suo nome sulla copertina mi verrebbe quasi da dire che non l'ha scritto lui...
nonostante la stroncatura della presentazione mi sono deciso ad acquistare il libro che ho trovato ben scritto ed equilibrato nella narrazione;capisco che possa dispiacere ad alcuni recensori ideologizzati che dopo settanta anni hanno ancora paura della verità.
Recensioni
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Non avevo mai letto nulla di Arrigo Petacco e mi sono accostato al suo libro sulla guerra civile spagnola per dovere professionale e curiosità, senza pregiudizi. Ultimata la lettura vi accenno non per ragioni storiografiche, ma di etica pubblica. Solo la sua mancanza, infatti, può autorizzare una prestigiosa casa editrice a mettere in circolazione un libro siffatto.
Vi si legge che se è vero "che alla fine di ogni guerra le bugie degli sconfitti vengono smascherate, mentre quelle dei vincitori diventano Storia, in Spagna si registrò il fenomeno contrario" (p. 6). Falso: in Spagna il racconto della vittoria è stato per trentasei anni solo ed esclusivamente quello dei franchisti. Scrive Petacco che la Confederación Española de Derechas Autónomas (Ceda) era il Partito democristiano spagnolo (p. 12). Inesatto: fu un partito confessionale, a base sociale agraria, privo di tradizione democratica e di qualsivoglia riferimento alla democrazia. Vi si legge che più si studiano le origini della guerra civile "e più si è colpiti dal ruolo preponderante e decisivo svolto dall'Unione Sovietica nella preparazione di questa tragedia" (p. 13). La smentita giunge più avanti allorquando Petacco spiega che Stalin "fu sulle prime molto cauto rispetto al pronunciamento spagnolo", osservando che nel "1936, dopo i falliti esperimenti in Germania, in Ungheria e in Cina, non pensava più di 'esportare la rivoluzione'", poiché si "rendeva conto che un intervento russo in Spagna avrebbe rotto il precario equilibrio europeo e aumentato le possibilità di un conflitto mondiale". Da qui deriva "la sua tardiva decisione di inviare aiuti alla Spagna" (p.75).
L'autore definisce la nuova politica dei fronti popolari varata dal VII Congresso dell'IC come tesa all'"unione di tutte le sinistre contro il comune nemico di classe" (p. 14), quando si trattò di un'alleanza di tutte le sinistre sì, ma con i partiti di "democrazia borghese", come si diceva ideologicamente allora, in funzione antifascista. Vi si legge che quando la cospirazione prese avvio nel maggio 1936, i cospiratori contattarono Sanjurjo, Mola e Franco (p. 21) e più avanti che, rompendo gli indugi, il generale Mola aderì al pronunciamiento (p. 27), che sarebbe come scrivere che Mussolini, venutone a conoscenza, aderì alla marcia su Roma, dal momento che Mola, come si riconosce molte pagine dopo, fu il "principale promotore del pronunciamiento" (p. 144). Petacco scrive che dopo il 18 luglio a Barcellona i miliziani "scesero lungo le ramblas" per l'assalto definitvo all'albergo Colón (p. 32), quando, considerata l'ubicazione dell'albergo (plaza de Catalunya), i miliziani non poterono far altro che risalire le ramblas. Scrive che la guerra civile "iniziò con una grande ondata di eccessi da parte degli ultras della sinistra" (p. 66), quando cominciò con una sollevazione di militari che con grande determinazione seminarono programmaticamente il terrore.
Riferendosi alla battagia di Santander dell'estate del '37, presenta Aldo Vidussoni, che vi prese parte, come "un volontario ventenne che Mussolini nominerà tre anni dopo segretario nazionale del Partito fascista in sostituzione di Ettore Muti" (p. 156), quando Vidussoni aveva all'epoca ventitre anni; non divenne segrario del Pnf tre anni dopo, ma quattro, a ventisette e non in sostituzione di Ettore Muti, ma di Adelchi Serena. Definisce John F. Coverdale come uno storico britannico (p. 174), quando è nato a Chicago e negli Stati Uniti ha sempre insegnato. Scrive che Azaña morì a Parigi (p. 193), mentre morì a Montauban, nel Sud-Est della Francia. Nell'epilogo ripropone due dei più triti e ripetutamente denunciati errori: che Franco decise di edificare il mausoleo del Valle de los Caídos per i caduti di entrambi gli schiermenti (p. 202) e che il suo "più grande capolavoro politico" fu quello di tenere la Spagna fuori dalla seconda guerra mondiale (p. 204).
Qui non c'entra la storia della Spagna. E neppure la storia. Qui si ha a che fare con un libro che qualcuno potrebbe accusare di avere finalità politiche di destra (cosa senza alcun dubbio legittima), ma che è troppo goffo per rendere credibili tali finalità, un libro in cui in una pagina compaiono interpretazioni contraddette da quelle di alcune pagine dopo, di personaggi che vengono fatti morire dove non morirono, di fatti più volte smentiti che vengono riproposti come se nulla fosse, di un libro costruito con libri che non sono né quelli più importanti, né quelli più recenti. Un libro che nessuna persona competente ha letto e corretto, prima di essere dato in pasto al pubblico, contando sul nome, e sulla presenza mediatica, del suo autore, nonché sulle sue presunte capacità di divulgatore. Non vorremmo che il degrado editoriale possa essere considerato lo specchio del paese. No, nonostante tutto, il paese, nel suo complesso, è decisamente migliore di libri come questo.
Alfonso Botti
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