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Tredici racconti (quattro inediti, nove pubblicati fra il 1937 e il 1954) dell'autore di Uomo invisibile , uno dei più importanti romanzi americani del Novecento, e fors'anche uno dei più belli. L'occasione è dunque ghiotta. E tanto più lo è in quanto di Ralph Ellison, oltre al romanzo e agli splendidi saggi di Shadow and Act , resta ben poco - resta, appunto, perché pare (il condizionale è d'obbligo) che il manoscritto di un secondo romanzo andasse perso al momento della consegna all'editore: e vera o falsa che sia, questa voce (del resto messa in giro dallo stesso scrittore) rientra a perfezione in quella parte dell'ipertesto ellisoniano che sulle segrete, o ipotetiche, ragioni del suo pluridecennale silenzio dopo Uomo invisibile ha costruito l'immagine di uno dei più misteriosi scrittori americani del secolo scorso. Benvenuti dunque questi racconti, anche se avremmo gradito che al piuttosto pretenzioso "a cura di John F. Callahan" avesse fatto seguito un minimo di informazioni oltre a quelle, scheletriche, della data di pubblicazione. Callahan, che di Ellison è l'esecutore letterario, poteva almeno farci sapere a quando risalgono questi testi; se del caso, in che rapporto temporale siano gli inediti con l'opera pubblicata. Informazioni che, soprattutto nel contesto di un'operazione volta all'arricchimento del canone di un grande scrittore, sarebbe stata molto utile, oltre che doverosa.
Il fatto è che, anche se dalle striminzite informazioni forniteci questi tredici racconti risultano coprire poco meno di un ventennio, nel loro insieme essi sembrano formare un'opera concepita, se non di getto, almeno in un giro d'anni ben più concentrato: tanta è la loro coerenza, la loro tenuta sia tematica sia di linguaggio. Per cui nasce il problema critico della loro interrelazione, del presumibile (possibile? probabile?) lavoro di integrazione da parte dello scrittore, di una loro (probabile? possibile?) programmazione globale. Domande alle quali, dall'esterno, non siamo in grado di rispondere.
A livello tematico, abbiamo un arco di tempo che va da racconti focalizzati sull'infanzia ad altri nei quali il personaggio è già adulto, e in almeno un caso già padre egli stesso. Non si tratta dello stesso personaggio, o meglio, a volte potrebbe trattarsi dello stesso personaggio, altre volte sicuramente no. Soltanto nei racconti dell'infanzia il bambino è (quasi sempre) lo stesso. Lo sviluppo, la maturazione della figura di volta in volta oggetto della narrazione si riferisce prima a un bambino poi a un adulto afroamericano: specifico di testo in testo, esemplare nella loro successione. E già questo porta a vedere un disegno generale coerente: perché tale intrico di elementi comuni e elementi difformi suggerisce, al contempo, individualità e paradigmaticità. Suggerisce che la storia del nero americano nella prima metà del ventesimo secolo è, sì, personale, ma anche - se non soprattutto - collettiva, e dunque anonima. Suggerisce che l'individualissimo bambino dei primi racconti finisce inevitabilmente con lo scontrarsi con quanto egli rappresenta agli occhi del mondo egemone: vale a dire, un "negro". Suggerisce dunque un modo di leggere le storie personali all'interno di una storia appunto sociale, che a quelle personali può lasciare soltanto lo spazio di un "sogno differito", per rifarsi a una celebre poesia di Langston Hughes: un sogno che, come una bacca, va in suppurazione al sole della realtà.
Il sogno (o meglio, in buona parte dei racconti di questa raccolta, il segnale simbolico del sogno) è il volo: da quello dei due bambini che vogliono far volare dei pulcini legandoli a un improvvisato paracadute, con il risultato di farli morire, a quello dell'ultimo racconto, che dà il titolo alla raccolta, di un aviatore nero (davvero rara avis , a quei tempi: il racconto fu pubblicato nel 1944) il quale sopravvive a un incidente di volo, per finire sulla proprietà di un sadico razzista. Con funzione ora apertamente simbolica ora segretamente allusiva, aeroplani o uccelli visitano con insistenza questi testi, creando un filo conduttore che li lega secondo una logica comunicativa non certo casuale. Da qui la coerenza semantica del volume, l'unità di visione che lo anima.
Ma da qui, appunto, il problema critico dal quale eravamo partiti. Si tratta di un'opera concepita unitariamente ma portata avanti a singhiozzo, per anni, secondo la pratica di lenta limatura caratteristica di Ralph Ellison, oppure di un'operazione a posteriori, la quale rimaneggiando, inventando ex novo, ritoccando, abbia dato a dei testi eterogenei quanto bastava per farli diventare elementi integranti di un insieme coerente? Soltanto l'analisi dei manoscritti, ove sopravvivano, o comunque della documentazione magari conservata nell'archivio dello scrittore, può rispondere a queste domande. Era quanto ci si aspettava dall'esecutore letterario, e quanto questi testi meritavano.
Mario Materassi
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