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Avishai Margalit riesce a spiegare realtà complesse e spesso nascoste della vita israeliana.
inizialmente doveva essere un lavoro di storia sulla questione palestinese...è divenuta una ricerca ed un arricchimento personale su un problema sempre attuale che ha subito una metamorfosi: non più la storia d'altri...lì dentro ci siamo anche noi. Margalit Avishai non descrive la sua storia, non narra solo vicende importanti, picchetti di una crescita continua di un popolo..egli ci lancia all'interno di una cultura, di un'arte, di una metamorfosi continua. Non manca di commentare e dare pareri ed interpretazioni, le quali però sono solo puntualizzazioni di qualche riga; lo scopo dell'autore non è esporre la sua idea, egli vuole far conoscere un mondo ed un problema che ha vissuto in prima persona, protagonista in secondo piano come milioni di altri, con una possibilità in più: quella di fare in modo che la gente sappia. Per chiunque si perde tra i meandri della storia, per chi crede che israele sia un mondo distante, a noi estraneo, per chi fa confusione tra le ragioni da ambo le parti, o sui partiti..sui loro leader. Questo libro è per chi vuol sapere, perchè solo entrando e vivendo israele possiamo dare la nostra opinione. Non è un libro da leggere sotto l'ombrellone,perchè A.Margalit non prende una penna in mano e si mette a scrivere dal nulla, ma l'unica dote che è richiesta dallo scrittore è a disposizione di tutti noi, se lo vogliamo: la curiosità di sapere. Perchè questa non è solo storia.. questi siamo anche noi. krizia
Recensioni
scheda di Brunazzi, M. L'Indice del 2000, n. 10
"Margalit - ha scritto Michael Walzer - è uno dei più provocatori, penetranti e informati commentatori della politica e della cultura israeliana."
E in effetti, quello che colpisce, di questo professore di filosofia all'Università Ebraica di Gerusalemme e brillante editorialista per più di vent'anni per alcune importanti testate europee e americane, è proprio la capacità di rendere acuta e originale una riflessione che potrebbe avere altrimenti solo il taglio e il valore di un pur decoroso pezzo giornalistico. Benché il volume, pubblicato nel 1998 con il sobrio e insieme allusivo titolo Views in Review, riunisca interventi di periodi diversi, alcuni addirittura di dieci anni prima, l'insieme conserva una freschezza di analisi, una lucidità espositiva, una visione politica sempre lungimirante, che ne fanno un testo di utile e stimolante lettura. Il tutto sorretto da uno stile a un tempo piano e ricco di humour, e mai superficiale, mai scontato, capace di efficaci e insieme eleganti sintesi concettuali, che permettono all'autore di aderire intensamente alla materia trattata senza tuttavia esserne emotivamente succubo.
Il libro ospita soprattutto una serie di riusciti profili biografici di alcuni dei protagonisti della politica israeliana (Barak, Sharon, Shamir, Rabin, Peres, Netanyahu), nonché quello di Isaiah Berlin, inframmezzati da saggi su vari aspetti e problemi storici, culturali e politici di Israele. Tra i più interessanti si segnalano quello su Gli usi dell'Olocausto in Israele e quello su Il sionismo: fallimento o tragedia?, che sintetizzano con grande equilibrio i principali termini del dibattito storiografico aperto dai giovani storici "revisionisti" israeliani.
Margalit, che si è impegnato nel movimento Peace Now, ha una posizione di grande apertura sul problema palestinese e su quello di Gerusalemme (per la quale propone audacemente la soluzione "un'unica sede di due capitali, quella di Israele e quella della Palestina"), ma questo non gli impedisce di valutare con grande obiettività e senza intransigenze moralistico-ideologiche tutte le ragioni di tutte le parti in causa: "dove mi colloco io? - scrive Margalit nella parte conclusiva della sua introduzione - io non sono né il pubblico ministero né l'avvocato difensore di Israele. Certamente non ne sono il giudice (...) non sono un testimone (...) Mi vedo in una veste differente, nel ruolo che un informatore indigeno riveste per un antropologo: ossia un membro della tribù che parla all'antropologo delle usanze della tribù stessa, e in particolare della sua lingua (...) Ma certamente ho delle opinioni (...) e delle preoccupazioni per la direzione che la tribù ha preso. In ciò che riferisco non nascondo le mie opinioni o preoccupazioni".
Marco Brunazzi
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