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Anno edizione: 1999
Anno edizione: 2017
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Rispetto all’avant pop e al funk robotico di “Station to Station”, premonitore di molte venture fascinazioni post-punk e sorta di evoluzione glaciale del R&b di “Young Americans”, quest’ultimo testimonia l’immersione nel più colorato e caldo Philly Sound. Non annoveriamo infatti questo disco tra i tentativi che fecero molte star del rock e del pop di buttarsi nel carrozzone di successo della disco music e nemmeno in una improbabile conversione del Duca ad un funk per duri e puri . La scelta ricadde in ciò che viene definito “Philly Sound” , Philadelphia Soul di inizio degli anni 70, che gettò le basi della disco con trame ritmiche R&B, con tastiere jazzy e texture vocali tra il Pop ed il Funk. Senza l’anima del soul ma con la raffinatezza che mancò a molta disco music, parve la scelta perfetta per un bianco inglese che voleva conquistare il mercato americano. Circostanza che puntualmente avvenne grazie al successo del super funkeggiante “Fame” , con lo zampino di sua maestà Lennon. Presenza dei Beatles che si fa sentire anche nella cover di “Across the universe” , buona l’intenzione meno il risultato. Un album di soli otti brani ma perfetto nella sua breve durata, nonostante soffra nel lato b e che affascina più per gli arrangiamenti che a livello di songwriting, anche se i comuni mortali venderebbero l’anima al diavolo per una “Win” una “Fascination” o la title track, brani che non hanno perso un’oncia della loro forza. Giova ricordare la presenza negli studi Sigma Sound Studios di Philadelphia di musicisti della scena funk e soul locale, inclusi Luther Vandross, all'epoca agli esordi, e Andy Newmark, batterista degli Sly and the Family Stone nonché del sassofonista dai toni morbidi David Sanborn. Uno nessuno centomila, noi “I” Bowie li gradiamo, TUTTI.
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