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Zingari. Storia di un'emergenza annunciata - A. Rita Calabrò - copertina
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Descrizione


Un'analisi attenta sulla condizione degli zingari, sui luoghi dei loro insediamenti, i campi ubicati alle periferie, periferie della periferia dunque, sulla loro identità e i loro stili di vita; giungendo al carcere e alla scuola e alla storia di una emergenza già annunciata: il caso di Milano. Una ricognizione attenta e documentata per sostituire la discussione al pregiudizio corrente. "Questo libro forse non farà piacere a molti e dispiacerà a qualcuno. Non piacerà a tutti coloro che gli zingari non li amano proprio. Né a tutti coloro che non vogliono vedere sollevare le gravi responsabilità di chi governa le città e le istituzioni. Né a coloro che si cullano nell'illusione di avere, a pochi metri da casa, una cultura millenaria e libertaria. Né a quegli stessi zingari che non hanno saputo o voluto cambiare la propria vita, per salvare le proprie famiglie dall'abbraccio mortale con la criminalità. Questo libro è un'occasione rivolta a tutti per sostituire al pregiudizio la discussione. Ammesso che non sia troppo tardi: da quanto tempo il vento non soffia più?". (Dalla Postfazione di Giorgio Bezzecchi e Maurizio Pagani)
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Dettagli

2008
1 gennaio 2008
VIII-282 p., Brossura
9788820732325

Voce della critica

Gağe sono, per gli zingari, tutti i non zingari. Anche noi, specificatamente italiani e con le nostre non marginali differenze regionali, non distinguiamo fra i tanti diversi tipi di questa popolazione anomala (Harvati, Lovara, Khorakhanš, Kanjarjia, Kalderaš, Sinti, Abruzzesi, Rudari, Rumeni ecc.), e li chiamiamo tutti zingari (recentemente, più spesso, rom). In Italia ce ne sono circa centosessantamila, sparsi qua e là, ma ora, dopo i recenti, perduranti e grandi flussi dalla Romania, più concentrati nei dintorni delle grandi città. Questi flussi dalla Romania hanno certamente acuito i problemi di convivenza, ma è indubbio che la chiusura ideologica entro gli steccati del nostro precario benessere e della nostra supposta grande "civiltà" contribuiscono a ingigantire quella che di recente viene chiamata "emergenza rom" e, finora e probabilmente domani, a lasciarla marcire. Come Anna Rita Calabrò annota nell'introduzione, agli occhi di parti consistenti della popolazione italiana la questione zingara appare perfino più rilevante di secolari flagelli quali la mafia e le altre nostrane criminalità organizzate.
Il titolo di questa recensione, "L'ignavia delle istituzioni gağe", va però un po' corretto. Per la verità, una storia degli interventi legislativi, delle iniziative assistenziali volontarie, delle cure professionali che al problema hanno dedicato vari operatori sociali, in particolare nelle carceri minorili e nella scuola, può stupire per i depositi che mostra di responsabilità, di conoscenza, di simpatia umana, di altruismo. In varie parti di questo libro se ne riferisce con partecipazione misurata, non enfatica. Ma in questo libro vi è anche la denuncia di come le risorse destinate in Italia all'integrazione di questa popolazione una volta nomade – risorse sempre scarse, ma almeno fino a una decina di anni fa sempre più efficienti – stiano ora decrescendo o voltandosi in investimenti nella repressione.
Per esempio, a Milano (dove fra gli anni novanta e il 2007 i rom sono triplicati, quasi soltanto in ragione delle ondate di rumeni – e sono oggi poco più di cinquemila): nel 2001 il Comune interrompe la convenzione con la cooperativa Laci Buti, nella quale operavano otto soci rom e dieci gağe; nel 2004 la cooperativa Romano Drom per servizi di pulizia e di manutenzione degli stabili (una decina di addetti) perde la gara di appalto a favore di una grossa società privata, dura fino al 2007 sulla base di una convenzione con il Comune, ma la convenzione scade e non è più rinnovata; nel 2001 si costituisce la cooperativa Nevi Bajt, cui nel 2003 viene tolto l'incarico di animazione per minori nel campo di via della Chiesa Rossa e le si lascia la convenzione per la manutenzione del campo, ma anche questa convenzione scade nel 2007 e non è più rinnovata. Fa bene l'autrice a insistere su questi "piccoli" episodi che rivelano una taccagna miopia: se si aggiunge, al significato simbolico positivo che ha l'affidarsi a iniziative rom, un centinaio di stipendi da 700-800 euro, sopravvivono un centinaio di famiglie rom, vale a dire cinquecento persone, vale a dire un decimo di tutta la popolazione rom di Milano, in una città dove gli euro, privati e pubblici, si contano all'ingrosso. Ma Milano, come tutti sappiamo, è città di Berlusconi e della Lega.
Presentiamo questo libro fra le pagine dell'"Indice della scuola" perché comunque la ricerca e le riflessioni teoriche che contiene riguardano in buona parte il ruolo della scuola. L'avvincente percorso sul quale l'autrice ci guida parte da una composita premessa: da una parte, la progressiva sedentarizzazione della popolazione zingara si accompagna a una "deriva" della sua identità culturale (certe mitologie sui "popoli-resistenza" e sulla "libera" ziganità danno ormai un suono chiaramente falso) e a fenomeni di corrosione della sua stessa moralità interna fino a commistioni con la delinquenza gağe; dall'altra, si tratta di una popolazione che mantiene un netto orientamento alla chiusura, alla differenza, alla doppia morale (una morale interna, fra gli zingari, e una morale esterna, fra zingari e gağe) e a concezioni aliene del tempo e dello spazio, vale a dire mantiene una diversità profonda nelle più riposte e decisive pieghe della cultura e dei suoi orizzonti cognitivi. È questa una situazione ambivalente che non può essere risolta nei termini di un ideale multiculturale (non c'è propriamente una cultura "altra" da conservare), ma neppure in termini puramente assimilativi (non sono date spontanee disposizioni né a essere assimilati, né ad assimilare). In questo quadro, che qui possiamo solo malamente riassumere, matura la convinzione dell'autrice che la scuola, con la sua fine trama di interazioni fondate sulla giustificazione e dunque sul dialogo insegnante-bambini e bambini fra loro, sia il luogo principale su cui fondare il destino di un popolo che è stato nomade per centinaia di anni e che è oggi miserevolmente sedentario. La scolarizzazione dei bambini zingari mostra oggi incrementi significativi, ma anche tassi elevatissimi di abbandono prima del ciclo obbligatorio e rarissimi casi di prosecuzione nelle scuole superiori.
Per gli insegnanti che affrontano tale area di problemi, la lettura e lo studio di questo libro, sia nelle sue parti teoriche sia nella presentazione dei risultati di ricerca e delle testimonianze (un intero capitolo è dedicato all'analisi di interviste in classi elementari con bambini rom), può risultare decisiva, se non altro per evitare le facili suggestioni del multiculturalismo o le latenti pratiche, pur bene intenzionate, di discriminazione. Ma per tutti quanti sono occupati nell'insegnamento, qui è l'occasione non solo per apprendere qualcosa sulla popolazione zingara, ma anche per riflettere ancora sulla resistenza e sulla fragilità delle culture, compresa, in qualche misura o in qualche modo, la nostra. Franco Rositi

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