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Anno edizione: 1990
Anno edizione: 2014
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Bernhard mette a nudo il marcio del mondo dell'arte. Le menzogne e gli atteggiamenti di posa di chi ne fa parte o chi ci orbita intorno. Stile narrativo fine, tagliente come una lama. Peccato per il titolo tradotto così, nella traduzione inglese molto meglio "Taglialegna".
La sua scrittura è come un vortice, che ti prende e ti fa andar giù senza neanche rendertene conto, pur senza perdere mai il controllo, come lo stesso suo protagonista fa. I temi attorno ai quali si produce il vortice sono plurimi, tutti raggi di un unico centro propulsore, affrontati in un testo compatto ma non ripetitivo: il protagonista affronta - sia pure solo nella sua mente - situazioni diverse, anzi rivive quelle agite poco o molto tempo prima, ma non vi si perde, vi si rispecchia. Si esperiscono delle modifiche, dei lievi cambiamenti di giudizio, alcune oscillazioni su argomenti di lunghe e apparentemente definitive intemerate svolte anche solo poche pagine prima, perché il ragionamento tiene conto delle emozioni che vi si riflettono. E poi quel finale, per me indimenticabile. Ne avrò letti una decina, di suoi libri: a me sembra, sin qui, forse il suo capolavoro della maturità.
il libro è bello, si legge con un certo piacere. ma nn lo amo
Recensioni
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scheda di Chiarloni, A., L'Indice 1991, n. 6
L'ottusità garrula e villosa dei convitati a questa sorta di cena artistica - Bernhard usa il corsivo per sottolineare, alla maniera di Handke, i falsi linguistici di cui s'imbelletta la sedicente 'intelligencija' austriaca - filtra attraverso lo sguardo implacabile del narratore, di ritorno a Vienna dopo una lunga assenza. Quella che gli si para davanti è una società letteraria vacua e sgangherata, soffocata dall'agiatezza piccolo-borghese e affetta da un patologico bisogno di mondanità. I "colpi d'ascia" con cui lo scrittore sventra l'Austria degli anni ottanta sono reiterati e ossessivi ma non privi di una 'vis comica', soprattutto nella parodia della conversazione intellettuale. L'ambiente è quello che ruota attorno al prestigioso Burgtheater, il "porcile" in cui razzolano gli attori - "i giullari dell'idiozia viennese" - e i pennivendoli in volgare "combutta con l'imbecille Stato austriaco". Né si salva la provincia, ormai piagata dalla speculazione cittadina, che, complice "dell'isteria del cemento del basso proletariato", non ha saputo che "cacare orripilanti cubi nella campagna della Stiria". Ma col procedere del racconto, nemmeno il narratore risulta indenne. Spinto dal terrore della solitudine, egli interloquisce progressivamente in questo sfacelo, guitto consapevole di una congrega di epigoni, in cui tutto è noia e simulazione. Attraverso la rievocazione stordita dall'alcol di Joana, un'amica morta suicida, il suo tono vira da beffardo in tragico, conferendo al testo il carattere di un requiem sulla condizione umana. "Una irritazione", recita il sottotitolo del romanzo: sarà nell'impulso rabbioso verso la scrittura che il narratore, con uno scatto finale inizia, la sua fuga da un mondo che minaccia di intrappolarlo.
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