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«Che io sia Re, mi pare sia cosa da non dubitare. V’è in me un modo regale di pensare, di opinare, di fantasticare, che non finisce di stupirmi e di allietarmi. Non riesco a pensare a cose umili e povere; ogni cosa deve avere un nome, collocarsi in una gerarchia, incedere o strisciare, ma in modo emblematico. Penso alle aquile; specie al primo dilùcolo, nel silenzio tra notte e giorno, nel freddo che anneghittisce, in mezzo al distratto sgomento dei fiori, penso ad enormi aquile, ali metalliche e sapiente malvagità di occhi...».
Con questo perentorio attacco il nuovo libro di Manganelli s’apre e prende slancio per un crescendo di variazioni sul tema d’una lucida esaltazione megalomane. Un bestiario araldico, cifrario d’una cupa euforia, è evocato dalla solitudine dell’insonne che si rigira tra le lenzuola come su una pagina bianca. Il teatro di cui Manganelli ancora una volta apre il sipario per il suo spettacolo verbale è lo spazio della mente: lo popolano fantasmi che convergono tutti sull’allegoria sovrana, la morte, il più carnevalesco e il più sontuoso oggetto della nostra scenografia interiore. Ma al posto della violenza «discenditiva» e autodistruttiva dell’Hilarotragoedia, al posto dell’architettura che eleva propilei e trabeazioni su una gelida capocchia di spillo nel Nuovo commento, qui c’è la tensione energetica del raptus, il librare le ali nei cieli grandiosi della simulazione, il volo radente verso i vortici dell’assenza. Un’ossessione moltiplicatoria e deduttiva affolla le prospettive labirintiche di proliferazioni mitologiche, di moltitudini di dèi o di defunti: dèi a grappoli, dèi a gomitolo, pasta per fare dèi; oppure la popolazione sterminata dei morti, brulicanti nelle filettature d’una madrevite arrugginita, loro ricettacolo segreto, microscopico averno, o addirittura sfarinati e cotti in una focaccia d’oltretomba. Nei sei capitoli di questo libro intimamente unitario – ancorché vario al punto da inglobare un carteggio tra Amleto e la principessa di Clèves, e il già classico Discorso sulla difficoltà di comunicare coi morti –, l’autore non lesina sorprese, novità di timbro e d’invenzione, non meno vistose della sua caparbia fedeltà a se stesso. Il meccanismo mistificatorio funziona con la naturalezza d’un organismo vivente grazie a una particolare accensione di cui Manganelli scrittore contende il segreto al Manganelli teorizzatore della «letteratura come menzogna». Il dotto acrobata che volteggia attorno al trapezio della retorica sul vuoto atemporale dei significati potrebbe essere riconosciuto un giorno come il più fededegno collettore delle allucinazioni e dei deliri dell’io pubblico e privato in questa nostra anticamera dell’ade.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Manganelli è un prosatore con un acume oltre ogni immaginazione, un paroliere sempre pronto a scovare, oltre le pieghe delle coperte di parole in cui si muove, un criptico neologismo; è un narratore dell'assurdo, della parodia e dell'ossimoro: la sua letteratura si muove su un piano immateriale, filosofico e orrorifico. Per me Manganelli è (anche) un autore dell'orrore e la sua opera è blasfema poiché trasgredisce il limite del razionale, modula la ricchezza dell'italiano e lo tradisce continuamente, soffoca i nostri dèi (del quotidiano) per scovarne di altri, ulteriori. "Agli dèi ulteriori" si compone di sei capitoli (o racconti) che hanno un'uniformità da romanzo. Manganelli, attraverso i suoi personaggi, ci introduce come un Re nella sua reggia di parole e immagini, luogo metamorfico, desolato e impuro, percorso da innumerevoli orologi che scandiscono un tempo che non c'è, da risa smisurate che scorrono tra smisurati corridoi, e divinità cosmiche incomunicanti, dai piani a noi incomprensibili. Manganelli è un simulatore della prosa, un menzognero poeta carnevalesco che col suo barocchismo apre il tendone del nostro imbarazzante circo e ci mostra scheletriche apparizioni marionettistiche ballare attorno a un'assente Morte. In questo libro la Morte, come un drappo nero, vela d'oscurità tutte le vite, le porta in uno "stato costante di astinenza dall'esistere"; queste maschere perse in un goffo ballo tentano di disubbedire agli dèi, o forse a Dio, quello stesso demiurgo-Re che si agita tra le sue imperfette creazioni, in attesa di qualcuno che colmi la sua solitudine e permetta ai suoi occhi di chiudersi un'ultima, definitiva, volta. Agli dèi ulteriori è un'oscuramente ironica enciclopedia dei morti.
Magnifica raccolta di racconti, o meglio anti-racconti, non- racconti, astrazioni di storie. Un grande classico del maestro Manganelli, atmosfere decisamente inquietanti, di quelle che disturbano intimamente e stile di rarissima bellezza. Sei tetri mosaici, sei cupissimi affreschi letterari, pari se non superiori ai grandi maestri della narrativa fantastica del perturbante, o come si dice oggi del weird (siamo anglofili anche nella terminologia di genere). Dalla superba ironia de "Discorso sulla difficoltà di comunicare coi morti", sontuoso, erudito ed oscuro divertissement letterario, sino ai fasti di sublime astrazione di "Un re", pindarico capolavoro d'immaginazione. Ma è di sicuro "Simulazioni" l'antiracconto che ti lascia senza fiato, un'apoteosi di orrori infernali puramente mentali, emanazioni di visioni e forme pensiero di un solitario narratore e protagonista, unico personaggio di questa straordinaria storia di multiformi incubi. Leggere un libro come questo, così come tanti altri di questo immenso letterato, è esperienza di grande sforzo intellettuale, sconsigliato al lettore medio, abituato, grazie ai moderni editori, a linguaggi narrativi piatti, privi di qualsiasi slancio artistico, e stili da scuola media, Sterminata erudizione, fantasia sfrenata, avanguardia stilistica e discese in Averni mentali e tanto altro ancora, da usare come antidoto, tonificante e psicofarmaco letterario, contro tutta la paccottiglia libresca di mestieranti e accattoni dell'incubo che continuamente ci viene rifilata, urlando sempre ad un nuovo capolavoro...
Spero che Adelphi ristampi al più presto questa raccolta di magnifici racconti. Uno dei libri più belli di Manganelli, puro lirismo in prosa, atmosfere inquietanti di eterea bellezza, pure astrazioni mentali di straordinaria fattura. Il Borges italiano, questo è stato il professor Manganelli.
Recensioni
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