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Una raccolta di poesie per certi versi risolutiva, nella quale l’autore pur non perdendo il punto di contatto con l’ intuizione del primato della bellezza e della sacralità della memoria, del culto della naturalezza, della fedeltà al territorio che ha generato la sua poetica, ne ha potenziato l’opzione originaria, lasciandola confluire nel convivio umano della contemporaneità. Nella nutrita costellazione delle sue opere è facile intravedere la continua ricerca evolutiva della forma espressiva di chi è consapevole che il respiro della scrittura non sempre è sufficiente ad esprimere compiutamente la percezione profonda di un’identità che vuole sopravvivere a dispetto di un mondo alienato. Il richiamo alla civiltà e alla cultura di un territorio rappresenta una caratteristica determinante della poesia del secondo Novecento. In essa Piersanti ha saputo trovare una propria personale collocazione, conferendovi un felice sovrappiù di inventiva e creatività, che non riposa sui richiami cullanti di un’estraniata espressività, ma piuttosto sulla necessità di restituire voce alla fatale esclusione del poeta, dilatando la sacralità del verso nel ventre profano della prosa quotidiana, La sua cifra stilistica ancora una volta è una rara specie di intensità colma di profondità e di luce, una pietas di colori e profumi, una minuziosa fenomenica di piante e di fiori, appartenenti ad un paesaggio analiticamente repertato nella sua dimensione morfologica ed antropologica, una vibrazione di timbro leopardiano che discende fino a Pavese, e Luzi, passando per Carducci, Pascoli e il D’Annunzio di Alcyone. La sua è poesia dell’espressione più alta e matura, in bilico tra il narrato e il cantato, che conserva l’espressione vocale dei suoi luoghi. Versi lunghi e distesi che recano l’incanto remoto di una delicata melodia della terra, la coinvolgente armonia del ricordo, restituendoci un ultimo raro brandello di quella civiltà agreste che avevamo dimenticato. Un bel volume, un poeta vero, una stupenda occasione di poesia
Una raccolta di poesie che si legge volentieri, come sfogliare un libro fotografico. Piersanti è nato a Urbino nel 1941 ed è abile maestro della parola, usa un linguaggio pulito, deciso, sminuzzato in versi brevi e nitidi come i paesaggi che va descrivendo con l’intensità emotiva che si addice a un poeta che ha vissuto nell’immediato dopoguerra la sua infanzia e ha visto tramontare il Novecento con il suo carico di ricordi lieti o tristi. Nelle sue poesie vi è la luce di una campagna intrisa di vita, di memorie personali in cui le trasformazioni stagionali ed emozionali vengono narrate con arte di parole suggestive e dovizia di particolari. Un libro che trasporta in un mondo genuino fatto di vento e sole, nuvole e nebbie, erbe e fiori, animali e persone, odori, sensazioni, affetti e passioni. Un libro candido in cui il poeta rivela di sé qualcosa di veramente personale, tanto da lasciare allibiti, in alcuni passaggi, della sua sincerità e capacità di mettere a nudo i propri sentimenti senza il timore, con ciò, di esporsi al “pubblico ludibrio”. Una poesia agreste tra i cui versi riecheggia un gradevole stile leopardiano.
Mentre leggo “L’albero delle nebbie” vengo letteralmente invaso da una sostanza creativa, da un fluire di ricordi ed emozioni, da un passato che è suo e di tutti noi, dal mito che accomuna, anima, lega. C’è un segreto nei versi di Piersanti: un’altra vita è possibile, un altro tempo è possibile, un tempo differente che ti consente, mentre consumi il tuo fiammifero quotidiano, di essere anche altrove, dove i sogni si popolano di favagelli e di vitalbe, di sprovingli e di pastori, di ceppi e fiordalisi, di casa in fondo al fosso e di luna che s’alza grande e gialla, di luoghi vissuti, tenacemente vissuti, superbamente vissuti, poi persi in un tempo che tutto sembra smarrire e ora ritrovati, con il gusto della memoria che mai t’abbandona. “In un tempo remoto”, “Jacopo” e “Tra cronaca e memoria” sono le parti che formano il libro. Nessuna delle tre, sia chiaro, è testata d’angolo. E’ un errore separare l’opera di Piersanti, pensare che un tema, magari più intenso, possa fondare gli altri. Il poeta d’Urbino è uno, uno il suo verso, una la sua trama. D’accordo, Jacopo è il figlio autistico, l’amore faticoso che lo schianta e le poesie che lo riguardano scaldano il cuore freddo e distratto dei nostri giorni, ma Jacopo è dentro Piersanti come la fata dentro il bosco, come gli uccelli minuti immersi tra le foglie, come una fonte d’acqua chiara, chiara come l’aria. Nella seconda sezione, o stazione (per dirla con Bevilacqua), c’è il passo stanco di chi è chiamato a inoltrarsi, da padre, in un mondo separato; di chi è chiamato a rincorrere, da uomo, le schegge impazzite, i brandelli di un passato che non passa. Però c’è l’amore che, ha scritto Dante,move il sole e l’altre stelle. E Piersanti ama, fatica e ama. Il figlio e la pianta, la donna e il vino, lo scotano e il libro. Vi invito a entrare ne “L’albero delle nebbie”, a perdervi tra rovi, sudori e amori, a ritrovare Urbino, dove ognuno di noi è già stato prima che fosse, a ritrovare dunque voi stessi.
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