È un libro che fin dal titolo rimanda a un mondo che non c'è più, questo Album bianco di Franco Fabbri. Al passato, infatti, appartengono ormai non solo i Beatles e il loro straordinario White album (1968), ma proprio l'album in sé: sia come album fotografico ("Un album di fotografie... ma senza le fotografie", si leggeva nella pagina iniziale della prima edizione, apparsa nel 2001), sia come album musicale ("Un disco con la copertina che si apre, e dentro si vede e si legge"). Oggi, nell'era di Facebook e delle foto digitali, dei download e delle playlist, l'idea stessa di album tende a diventare un ricordo. Tanto che, quando racconta l'emozione del primo 33 giri pubblicato dai suoi Stormy Six, Fabbri scrive: "Un lp è una cosa che odora di carta e d'inchiostro, come un libro". ("In quei colori / io vedrò il dolce tuo viso / ed ancora tu sarai davanti a me / io cerco il tuo amore / è un fiore perduto per sempre", Fiori per sempre, 1969). Tra quel primo disco e le canzoni ascoltate dall'iPod subito dopo aver subito un'operazione a cuore aperto passano meno di cinquant'anni, ma nel frattempo il mondo della musica è diventato un altro, e anche il mondo che sta fuori. Questi Diari musicali 1965-2011 raccontano in prima persona la trasformazione del Suono in cui viviamo (titolo di un altro bel libro di Fabbri) rievocando non solo gli accordi, gli strumenti, le canzoni, ma anche facce, luoghi, odori, nomi, atmosfere, parole. Nel racconto appassionato e ironico di questi anni, le parole delle canzoni si mescolano a quelle della storia; i punti di vista del ragazzo e dell'uomo, del musicista e dello studioso di popular music si sovrappongono e al tempo stesso sovrappongono, creando continui cortocircuiti. "Allora", nel 1965, "la musica leggera era ciò che noi non eravamo: era, con estrema chiarezza e senza sfumature, la musica contro la quale si stava costruendo quella che noi ascoltavamo e suonavamo". Poi, nel 2005, lo stesso Fabbri si trova "nella posizione di capofila di una lotta per far accettare lo studio della popular music nelle università italiane": "della gente che pretende di studiare la musica leggera!". All'inizio di questa esperienza c'erano i "complessini" (chi parlerebbe oggi di "complesso" per un gruppo musicale, anzi, per una band? solo un gruppo demenziale come Edipo e il suo complesso) e c'era la "congiuntura": "l'Italia aveva cominciato a trovarsi in una congiuntura sfavorevole, negativa. Ma i politici, e i loro suggeritori/interpreti, dicevano congiuntura e basta" (oggi, come ben sappiamo, c'è lo spread). Quando scrive la sua prima canzone, il giovane Franco ignora "del tutto il significato politico della parola compagno"; qualche anno più tardi, persino il padre "fiero conservatore" "si è abituato a negoziare con attivisti e funzionari di partito di tutta Italia che chiamano per scritturare gli Stormy Six, e lo salutano con un: 'Grazie, compagno!'". ("La radio al buio e sette operai / sette bicchieri che brindano a Lenin", Stalingrado, 1975). Nel 2011, "compagno" in quel senso non si usa quasi più: lo critica persino Nichi Vendola, nella cui lista Franco Fabbri è candidato alle amministrative per il comune di Milano. Non viene eletto, ma raccoglie "il doppio dei voti rispetto a Ornella Vanoni: un successo enorme!". Certo, in qualche caso a cambiare sono state solo o quasi le parole: "Nel 1967 non si fa il sound check, si fanno le prove"; Un biglietto del tram, inciso nel 1975, è un disco acustico, anche se "oggi ci sarebbe un termine gergale molto conveniente e riconoscibile per definire quella condizione: unplugged". Ma davvero il mondo in cui viviamo è diventato un altro. ("Niente resta uguale a sé stesso / la contraddizione muove tutto", L'orchestra dei fischietti, 1977). In mezzo c'è il Movimento studentesco, con la sua Commissione musicale che organizza concerti e produce dischi, mentre "fuori (non solo metaforicamente, visto dove si trova lo studio) lo scontro politico è durissimo". C'è il Muro di Berlino, che dieci anni prima della caduta gli Stormy Six attraversano alle due di notte sotto una tempesta di neve, "invitati al Festival della canzone politica, ospiti della Fdj, l'organizzazione giovanile del partito che governa la Repubblica Democratica Tedesca". ("La piega del tempo complica le pieghe del continente / ma al centro del nostro atlante / ogni nome è comunque una pietra parlante", Macchina maccheronica, 1980). C'è il riflusso, "proprio mentre da noi si celebra l'edonismo reaganiano" e poi l'"Italia di Berlusconi e di Bossi", nella quale domina un linguaggio molto diverso rispetto ai tempi "in cui era proibito pronunciare in televisione la parola coscia"; gli stessi in cui Fabbri e gli Stormy Six cominciavano la loro avventura musicale ("Ma dovrò partir / ti dovrò lasciar / anche se oggi piango", Oggi piango,1965). Tutto è cambiato da allora: tutto tranne Gianni Morandi, che è ancora lì con i suoi capelli tinti a presentare l'intramontabile Festival di Sanremo. Giuseppe Antonelli
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