«Il quesito che la politica deve porsi riguarda proprio il bilanciamento dei poteri in uno Stato democratico: una potenza quale quella della profilazione digitale, di tale impatto e pervasività, può rimanere esclusivamente a disposizione di chi paga di più? E addirittura, senza nemmeno essere nota a chi la subisce? Ogni legge è sempre la conseguenza di un conflitto d’interessi, di un confronto di poteri, di un negoziato sociale. Il buco nero che abbiamo dinanzi è proprio l’assenza di un’esperienza che animi queste dinamiche negoziali nella società degli algoritmi». «Algoritmo» è diventato ormai sinonimo di controllo sociale. Anche chi non saprebbe meglio definirlo, sa che le sequenze di formule matematiche nascoste dietro questo nome servono a governare l’elaborazione della sterminata quantità di informazioni generate continuamente dalla rete. Con la loro potenza di calcolo, e la loro apparente neutralità, questi «numeri magici» si presentano al nostro senso comune come i passe-partout per aprire ogni porta della nostra vita. Ma chi detiene davvero le chiavi degli algoritmi? Sono dispositivi neutri e inviolabili? O non sono invece espressione di una strategia di orientamento e governo sociale sempre più strettamente controllata dai loro «proprietari»? Il saggio affronta con un taglio divulgativo, e un obiettivo molto pragmatico, il tema di una critica dei presunti automatismi che definiscono e classificano i nostri comportamenti. Il buco nero che ingoia la nostra libertà oggi non è tanto il condizionamento della nostra vita tramite l’uso dei nostri dati, quanto un’omologazione del nostro pensiero alle forme semantiche degli algoritmi prescrittivi. Non tanto il consumo, quanto proprio il cervello è la posta in gioco.)
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