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Scire per causas: questa è la definizione stessa di conoscenza scientifica unanimemente accettata per secoli, anche quando il dominio dell'aristotelismo viene messo in crisi dalla diffusione di nuovi modelli filosofici. Certo, chi seguiva il modello galileiano o cartesiano delle quattro cause aristoteliche (materiale, formale, efficiente e finale) accettava solo la causa efficiente, mentre non pochi si oppongono a questa interpretazione meccanicista della realtà, ritenendo invece che la scienza debba considerare la natura come un cosmo ordinato in cui regnano finalità scelte dal volere divino (si pensi a Leibniz e a Newton). I filosofi si dividono poi sul modo in cui studiare la connessione causale che regge il mondo: privilegiando la deduzione razionale o l'indagine empirica? Ma la convinzione che esista una struttura causale del reale rimane salda, fino a quando la proposta avanzata da Hume di considerare l'accertamento del nesso tra la causa e l'effetto come la proiezione nel futuro di una semplice regolarità constatata nel passato, la cui validità riposa soltanto sulle nostre abitudini, agisce su questo panorama come una potente forza centrifuga. Nonostante numerosi anche se divergenti tentativi si siano susseguiti nel tempo, i secoli successivi oscillano così tra interpretazioni talora opposte del ruolo della causalità nella scienza.
Addentrandosi in modelli epistemologici molto distanti tra di loro e riannodando fili di discussioni lontane nel tempo e nello spazio, Paola Dessì ci mostra che personaggi diversissimi tra loro, come Comte, Russel, Mach, Duhem, Popper, concordano nell'espungere la nozione di causa dalla scienza, una tesi che sembra confermata quando Heisenberg, nel 1927, formula il principio di indeterminazione: quella che per Aristotele, ma anche per Galileo, era per eccellenza il regno della ricerca delle connessioni causali, la fisica, sembra avere definitivamente abbandonato questa attività. La scienza dovrebbe dunque occuparsi di descrivere la realtà e le regolarità che possiamo evidenziare in essa, utilizzando concetti come quello di legge o di funzione e ripudiando invece ogni pretesa di spiegare il cosmo grazie all'individuazione del nesso necessario tra la causa e l'effetto.
Mentre la fisica si orienta in questo senso, insieme a una parte cospicua della riflessione epistemologica dei primi decenni del Novecento, altre discipline non abbandonano del tutto la causalità come ideale scientifico, anche se contribuiscono a riformularla diversamente rispetto al paradigma aristotelico e meccanicista. Sono aiutate in questa opera da una debolezza intrinseca dei fautori della scienza come descrizione di regolarità: questo tipo di spiegazione, infatti, ci dà informazioni solo sul presente e sul passato, senza offrirci nessuna indicazione sul futuro o su ciò che è possibile, per di più si dimostra incapace di distinguere a livello logico formale tra generalizzazioni accidentali o meno. Lo sviluppo della logica dei mondi possibili e le nuove applicazioni della statistica, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, porteranno a elaborare delle nozioni di causa che, seppure indebolite rispetto a quella delle origini, ne permettono un uso efficace in discipline così diverse e così influenti nel nostro presente come il diritto, la medicina epidemiologica e la biologia evoluzionista. La causa viene dunque considerata una conditio sine qua non, da studiare immergendola in un contesto complesso che ne orienta e influenza l'efficacia: un fiammifero che provoca un'esplosione non avrebbe avuto lo stesso effetto se non avesse trovato del materiale altamente infiammabile. Oppure la causa è un fattore che contribuisce ad aumentare la probabilità statistica di certi eventi: fumare o essere sottoposti a certi agenti chimici aumenta la possibilità di sviluppare alcune forme di tumore, fatto però che non avviene in tutte le persone che hanno fumato o sono state esposte a quegli agenti chimici; in questo senso, il nesso tra la causa e l'effetto non è necessario, ma solo statisticamente rilevante. Così modificato, il concetto di causa potrebbe ritrovare una sua funzione anche nella fisica quantistica.
Rimane però una domanda finale: come spiegare lo scollamento tra la pratica effettiva di scienze che, pur avendo riabilitato la nozione di causa, ne offrono un'interpretazione sì diversificata a seconda delle discipline, ma che non si configura mai come un semplice ritorno al passato, e la propensione a dare alla causalità un senso forte, manifestata con sempre maggiore insistenza da molta filosofia della scienza? Le ragioni che muovono gli epistemologi sembrano essere interne al discorso filosofico: riportare l'attenzione su un concetto di causa intesa in senso pieno permette di respingere più efficacemente gli attacchi di ogni tipo di irrazionalismo e di distinguere facilmente il discorso scientifico da altri modelli esplicativi. Se l'intenzione è chiara, bisogna però dire che siamo ancora lungi dall'aver trovato una soluzione soddisfacente al problema, che presenta ancora numerose difficoltà.
Scritto con precisione, ma senza tecnicismi, ricco di esemplificazioni in grado di mostrare al lettore la ricaduta pratica ed effettiva di teorie altamente speculative, il libro di Paola Dessì ci introduce felicemente alle mille sfaccettature di uno dei concetti più antichi della filosofia, capace però di situarsi ancora al centro del dibattito contemporaneo.
Antonella Del Prete
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