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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2020
A sette anni di distanza da Partigiano Inverno, romanzo finalista della XXIV edizione del Premio Calvino, Giacomo Verri torna in libreria con Un altro candore, ancora una volta per i tipi di Nutrimenti.
E ritornano, anche se in misura minore rispetto al primo romanzo, i temi a lui più cari: la Resistenza in Valsesia, e i diversi atteggiamenti degli uomini e delle donne messe a confronto con l’orrore quotidiano.
Il romanzo gioca su diversi piani temporali. La cornice su cui si innesta è la vita di coppia di Claudio e Donata, marito e moglie ormai anziani, a partire dall’incidente che coinvolge la donna. La paura della morte e la presa di coscienza della propria fragilità spinge Donata ad aprire il vaso di Pandora. Rivela al marito di conoscere un segreto: la sua omosessualità e la sua relazione, illecita e clandestina, con un altro partigiano. Claudio viene incoraggiato a riprendere i contatti con il suo vecchio amante.
Proprio come accadde nella leggenda, le chiamate tra Claudio e Franco scoperchiano un groviglio di storie, l’una trascinata dall’altra. Dalla Valsesia in guerra escono i due amanti clandestini, e attaccati a loro anche Sara e Sebastiano, madre e figlio che danno loro ospitalità, e la staffetta Cristina, che con Franco ha una relazione. Un evento violento – una retata, e l’omicidio a sangue freddo che ne deriva – segna un punto di svolta nella vita dei protagonisti.
Li seguiremo poi nell’immediato dopoguerra, e a distanza di vent’anni. Entreranno in scena altri personaggi, nuove generazioni prenderanno spazio, ma finiranno tutti per toccarsi e contaminarsi, secondo uno schema circolare in cui il passato non è mai veramente lasciato alle spalle.
Claudio e Franco e il loro candore, la genuinità della loro storia d’amore – perché così la si deve definire, nonostante l’apparente rozzezza e la brutalità fisica che investe i due, i loro compagni, la guerra tutta – danno un sapore stupefacente ai primi capitoli.
Procedendo con la lettura, tuttavia, si avverte una maggiore stanchezza. La prima parte è tutta dedicata a Sebastiano e alla sua, se così vogliamo chiamarla, “educazione sentimentale”. Personalmente non ho apprezzato la rappresentazione del sesso né qui né nel resto dell’opera: per tutti i personaggi non rappresenta che un veicolo di sopraffazione e morbosità. I tradimenti avvengono con una certa frequenza, gli amanti sono ambigui e stranamente crudeli.
Lo stesso vale per i rapporti di coppia. I matrimoni sono sempre infelici e densi di ombre. Anche l’evento più semplice – una festa di compleanno – nasconde una faccia inquietante.
Personalmente ritengo che questo schema, anziché arricchire l’opera, abbia l’effetto di renderla monotona. Non voglio dire che debbano accadere solo cose belle, non mi aspetto una narrazione à la Mulino Bianco, ma la carica eversiva del sesso si esaurisce quando viene ostentata. Inoltre, le motivazioni che stanno alla base di un gesto non sono mai chiarite, e risulta difficile capire quali siano. Rimane spazio solo per le supposizioni.
L’abile gestione, da parte dell’autore, dei diversi fili che compongono la trama neutralizza, almeno parzialmente, questo problema. Verri sa quando interrompere una scena, lasciando il lettore con una piacevole frustrazione e con la fame di sapere come andrà a finire.
Un altro candore è quindi un romanzo con un altissimo potenziale, ricco di spunti che purtroppo non sempre sono stati sviluppati nel modo migliore. Ciò nonostante, ha intuizioni felici e un ritmo sostenuto. Verri ha saputo giocare le sue carte con scaltrezza.
di Sonia Aggio
Una chiamata, quasi mezzo secolo dopo, per sentire un vecchio, anche anagraficamente, partner. Da cornetta a cornetta, telefono fisso perché siamo negli anni Novanta. Una voce riconosciuta immediatamente. Due uomini, quasi al termine delle rispettive vite, che si ritrovano e si parlano, inizialmente a fatica. Claudio, detto il Pezzo ai tempi della Resistenza, e Franco. Una telefonata indotta dalla moglie di Claudio, Donata, presa in pieno da un’auto in corsa mentre era sulle strisce e malmessa in ospedale. Ha confessato al marito di aver trovato vecchie lettere e intuito di quell’amore omosessuale ai tempi della guerra. E vuol sapere, vuol capire, «non voglio starmene qui da sola pensando che… che anche tu sei solo e che dentro te ci siano pensieri che non conosco. Preferisco che tu li dica a me. E se ti faccio del male? Vorrà dire che mi farai male». Sono tutte qui le prime pagine di Un altro candore, secondo romanzo di Giacomo Verri, a sette anni di distanza dal primo, Partigiano Inverno. In entrambi i casi la pubblicazione è targata Nutrimenti, casa editrice romana che pubblica non tantissimi italiani, ma tutti degni di altissima considerazione. E anche questo è il caso.
Ma facciamo un passo indietro. Emerso dalla fucina del premio Calvino, Giacomo Verri e il suo Partigiano Inverno avevano lasciato il segno, attirando paragoni, facendo echeggiare fra le pagine classici come Fenoglio e Pavese, chiamando in causa, secondo taluni, Meneghello e Gadda per una lingua che si nutriva di eleganza e letterarietà, come di gergo e di dialetto. Il risultato era più che pregevole, quella che è arrivata adesso non è una semplice conferma, va oltre, il secondo romanzo fa decollare il talento di Verri, nonostante una lingua che, pur restando ricercata, è meno sperimentale rispetto al primo romanzo.
La lettura di Un altro candore offre tanto. Uno sguardo antico, che non vuol dire fuori moda. Rovistare nel passato, che in molte occasioni, è più interessante, sincero, comprensibile di questo eterno presente proiettato nel futuro. Dinamiche esistenziali, grandi domande, ardore, passione, amore. Tutto shakerato col fare i conti con se stessi e con le proprie vite, da un piccolissimo angolo di mondo, non necessariamente universale, ma di sicuro non banale: Giave, immaginario piccolo verosimile centro di provincia, dominato da una montagna del nord-ovest italiano. Dominano la scena Claudio, Franco e Cristina, triangolo di partigiani che andrà in frantumi dopo il conflitto bellico: i due ragazzi si amano segretamente, fra candore e brutalità, la staffetta Cristina è a sua volta innamorata di Franco e con lui ha una relazione. La loro storia emerge in flash-back, alternati ai capitoli ambientati negli anni Novanta, e a spezzoni che stanno a metà strada, negli anni Settanta. Frammenti giustapposti di storie, che in certi casi grondano violenza, morbosità e ambiguità e in altro amore, e spesso lasciano l’amaro in bocca.
Verri dimostra conoscenze storiche, padroneggia i meccanismi narrativi e i piani temporali (c’è da aspettarselo da chi si è laureato con una tesi sulla narrativa di Umberto Eco) e poi ci mette del suo, in termini di pensieri, sentimenti, passioni, di confronto dei suoi personaggi, e dunque suo, con ciò che di buono e di orribile, inquietante, riserva la vita a uomini e donne di qualsiasi generazione. Se non c’è la guerra, anche in tempo di pace fanno i conti con delusioni, illusioni, e con uno sguardo perso nel passato e nel futuro. Un altro candore è uno dei romanzi più belli dell’anno.
Recensione di Micol Treves
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