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Anno edizione: 2023
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Una guida sentimentale per cercatori di funghi e di ricordi, che ci regala tutto lo stupore della prima volta in cui i cani tornano scodinzolando e in bocca hanno un tartufo.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Sandro Campani ci porta nel suo mondo, e lo fa consegnandoci un diario che racconta la sua terra - le valli dell'appennino modenese e reggiano - alla ricerca di funghi e tartufi insieme al padre e al fratello Pietro, in un rituale che si ripete negli anni. Ci sembra di accompagnarli nei boschi, stando appena un passo dietro, per non disturbare il lavoro esperto di chi conosce il mestiere e sa cosa aspettarsi, nascosto da un masso o un palmo sotto terra. Per questo il libro ha sapori di erba, corteccia, radici, pietre, fango, resina, umido e sudore. L'autore disegna una geografia intima ("ci sono posti a cui sei affezionato, ti chiamano, [...] non riesci a non andarli a visitare, [...] posti che ti attirano in forza di una mitologia che ti sei costruito negli anni"), in una dimensione raccolta e personale ("quando sono nel bosco con mio padre e mio fratello smetto il resto, è tutto fuori, persino dai pensieri"). È una dimensione che avvolge di sensazioni, talvolta con un velo di malinconia: "c'era quell'aria da eterna domenica, col sole che calava ma il tramonto ancora lontano, una luce nei giardini che a guardarla aveva già qualcosa della malinconia che viene". Campani ricorre ad un vocabolario spesso gergale, e ce ne dà conto in un glossario che non a caso è definito sentimentale: così comprendiamo il significato di pastura, colombina e forasacchi, apprendiamo la tecnica del micorizzare e cosa si intenda per fare un liscio. Libro breve ma con una prosa ricca e avvolgente.
Sandro Campani sa scrivere e si vede (o meglio si legge). Fra le coste dell'appenino tosco-emiliano, in un territorio compreso fra Modena Parma e Reggio, si dipana quello che a tutti gli effetti sembra un diario sull'arte di andare a far funghi o tartufi, fatto di brevi capitoli e impressioni sparse. Ripercorriamo ricordi infantili alternati a momenti più vicini ai nostri giorni, in una lingua che personalmente mi ha ricordato da vicino quella di Pavese, essenziale, icastica, a volte dialettale (ovviamente un dialetto ricercato nella sua musicalità). In questo gioco di sguardi e rimandi però a volte ho avuto la sensazione di perdermi, senza riuscire a legare organicamente le varie osservazioni fra loro in un coerente narrativo. Forse ha contribuito in un certo verso anche la scrittura, che nonostante la puntigliosa ricercatezza fa trasparire un po' di affettazione, come se l'autore non fosse riuscito a sparire del tutto, ma lo percepisci ancora fra le parole, lì dietro a costruire e senti il rumore.
Sono di parte lo so, io adoro la scrittura di Sandro Campani. Ho amato questo libro esattamente come gli altri. Sapevo che ci avrei trovato silenzio, malinconia, fragilità, equilibri precari, immagini non dette, la luce e il buio del bosco e di noi uomini.
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