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L'elezione di Barack Obama nel 2008 ha messo definitivamente in discussione il privilegio razziale dei bianchi negli Stati Uniti, sanzionando sul piano politico le trasformazioni demografiche in atto nel paese, destinato nei prossimi decenni a diventare una "nazione di minoranze": è fondamentalmente questa la conclusione a cui perviene Enrico Beltramini nel suo volume. Dopo un'efficace introduzione teorico-metodologica, l'autore intreccia approfondimento storiografico e tono divulgativo, ripercorrendo le vicende della schiavitù, della segregazione, del movimento per i diritti civili, degli ultimi quarant'anni di dominio conservatore e dell'ascesa di Obama alla Casa Bianca, e rileggendo la storia statunitense attraverso le lenti della contraddizione tra la promessa di libertà e uguaglianza veicolata dai principi fondanti dell'esperimento americano e la realtà di oppressione vissuta dalla sua comunità di colore. Nel complesso l'opera, che predilige una specifica dimensione di certo la più traumatica dello sviluppo della questione identitaria negli Stati Uniti, non ambisce a sviluppare una trattazione esaustiva dell'articolato percorso che ha caratterizzato la vita della popolazione afroamericana: piuttosto, l'autore fornisce un quadro dettagliato delle fasi principali che hanno segnato la sua faticosa e graduale emancipazione dal privilegio razziale costruito e difeso dai bianchi nell'arco di quasi quattro secoli.
A tale scopo il volume è diviso in tre sezioni. Nella prima Beltramini si occupa soprattutto della schiavitù e della segregazione, vale a dire dei due passaggi fondamentali attraverso cui i bianchi hanno edificato la propria supremazia politica, sociale, economica e culturale. La seconda parte è dedicata invece alla ricostruzione delle principali battaglie che hanno inteso scalfire tale dominio, dalla nascita della Black Church al movimento dei diritti civili capeggiato da Martin Luther King, dal nazionalismo nero alla figura e all'azione politica di Robert Kennedy. Infine, l'autore dedica l'ultima sezione del volume agli ultimi quarant'anni di storia americana, quelli in cui il Partito repubblicano ha conquistato il Sud del paese e in cui si è sviluppato un privilegio razziale nascosto, che si è espresso soprattutto sul piano culturale ed è stato messo in crisi dall'elezione di Obama.
Dallo sforzo interpretativo di queste vicende messo in campo da Beltramini emergono almeno tre elementi di particolare rilevanza. Innanzitutto, l'autore evidenzia efficacemente l'importanza del rapporto fra centro e periferia nell'evolversi dello scontro razziale. Dopo aver permesso agli stati del Sud di perfezionare in maniera metodica e sviluppare ulteriormente il sistema schiavistico durante il primo Ottocento, così rinnegando la portata universalistica del discorso emancipatore del periodo rivoluzionario e costituente, il governo federale tornò a imporsi nella stagione della Guerra civile, liberando la popolazione di colore ed estendendo a essa i diritti politici, per poi ritrarsi nuovamente dopo la ricostruzione, con l'inizio della lunga parentesi segregazionista, e ripresentarsi come protagonista attivo negli anni sessanta, che videro l'approvazione della legislazione sui diritti civili.
Il secondo elemento degno di nota riguarda invece il ruolo della religione. Sin dall'epoca dello schiavismo, in cui i pastori del Sud e quelli del Nord proposero differenti letture del messaggio biblico, il cristianesimo ha contribuito in maniera determinante a disegnare i confini dello scontro razziale, fornendo inoltre alla comunità di colore un potente veicolo di coesione e organizzazione sociale: dalla rinuncia a considerare la schiavitù come un problema morale alla sua aperta giustificazione per mezzo di alcuni passi della Bibbia, dalla nascita della Black Church al movimento per i diritti civili, l'intera storia dei rapporti tra bianchi e afroamericani è stata caratterizzata dalla centralità della dimensione religiosa.
Infine, il terzo elemento particolarmente significativo riguarda la figura di Obama. Beltramini sottolinea infatti come il presidente, affrontando il razzismo dal punto di vista della riconciliazione nazionale e incorporando la teoria conservatrice e reaganiana che negava la sua reale persistenza dopo la fine della segregazione, abbia liberato i neri dal vittimismo e i bianchi dal senso di colpa che condizionavano i loro rapporti, ottenendo in cambio una riconosciuta credibilità come politico "post-razziale". "Quella che stiamo vivendo, letteralmente dice d'altronde l'autore, è la fine dell'identificazione dell'America come nazione bianca: in questo senso, 'America post-razziale' significa un'America che ha smesso d'identificarsi con la razza bianca". Gabriele Rosso
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