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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2014
Proprio perché paiono meno facilmente riconoscibili delle filosofie che li hanno ispirati, gli schemi storiografici finiscono sovente per avere una maggiore longevità ed esercitano di fatto un'influenza pervasiva. Chi abbia letto il volume pubblicato da Wojtyła con il titolo Memoria e identità sarà stato certamente colpito da quella sorta di damnatio che colpisce Descartes: al filosofo francese il papa risaliva, oltre l'Illuminismo, per individuare le "radici" delle "ideologie del male" presenti "nella storia del pensiero filosofico europeo". A Cartesio veniva dal papa rimproverato di aver interrotto il legame tra essere e conoscere e di aver "ridotto" Dio "a un contenuto della coscienza umana": accusa quanto meno ingenerosa se non francamente erronea nel caso di un filosofo che è passato alla storia anche per aver elaborato una nuova prova (detta appunto ideologica) dell'esistenza di Dio proprio a partire dall'eccedenza del contenuto (infinito) dell'idea di Dio rispetto alla finitezza dell'essere che lo pensa. Con il movimento di pensiero iniziato da Descartes si sarebbe giunti, secondo Wojtyła, niente meno che agli esiti tragici del Novecento. Colpisce in particolare che, dopo un excursus attraverso i mali del secolo (nazismo, Shoah, comunismo, gulag, ma anche legislazione sull'aborto e riconoscimento delle unioni omosessuali), Wojtyła, interrogandosi sul senso di tutto ciò, offrisse non solo una scontata risposta di carattere teologico ("è stato respinto Dio quale Creatore"), ma vi aggiungesse anche una riflessione filosofica sorprendente: sulle larghe spalle di Descartes poggerebbe non solo l'onere di padre della filosofia moderna, ma anche il peso di responsabilità assai più gravi e corpose, come quelle che si sarebbero palesate nella civiltà (e inciviltà) contemporanea. Di qui la necessità, per Wojtyła, di sanare una volta per tutte la "cesura cartesiana" e di ripristinare il cammino interrotto della filosofia scolastica: "tornare a san Tommaso d'Aquino, cioè alla filosofia dell'essere", sia pure aggiornata con una patina di fenomenologia realista (nel testo è citato Ingarden).
Non coglierebbe nel segno chi pensasse che questo violento atto d'accusa a Descartes risalga al contesto culturale polacco, profondamente segnato dal clima controriformistico che vi dominò a lungo. Benché nel volume papale non venga detto, la fonte di questi giudizi pesantemente negativi sulla filosofia cartesiana è da cercarsi nell'intellighentzia cattolica parigina degli anni venti, e segnatamente in un testo di Jacques Maritain Trois réformateurs, permeato di cultura tradizionalista. In quel pamphlet si individuavano in Lutero, Rousseau e appunto Descartes i fondatori "in negativo" della modernità secolarizzata, democratica e individualistica. Successivamente, in un libretto pubblicato a New York nel 1943 con il titolo Chistianisme et démocratie, Maritain rincarava la dose: "Assistiamo alla liquidazione del mondo moderno, di quel mondo a cui il pessimismo di Machiavelli ha fatto scambiare la forza ingiusta con l'essenza della politica, che la scissione di Lutero ha squilibrato", e proseguiva denunciando le successive ondate di laicizzazione, iniziate appunto con Descartes e continuate con gli Enciclopedisti, Rousseau e Hegel, tutti accomunati nel credere "che l'uomo si salva con le sue sole forze e che la storia umana si fa senza Dio". Di lì la necessità di risalire oltre "la tragedia delle democrazie", per ritrovare le radici cristiane e "purificarne" così i "principi". Come si vede, Wojtyła si sarebbe limitato ad aggiornare il catalogo degli effetti negativi, estendendolo alla denuncia del comunismo e alle più recenti legislazioni in materia di maternità e famiglia.
Di questa semplicistica filosofia della storia, il libro di Emanuela Scribano assolutamente non tratta, ma potremmo dire che ne costituisce implicitamente l'antidoto più efficace: collocandosi su un terreno del tutto diverso per tenore e qualità degli argomenti, il testo offre una precisa ricostruzione di un modello di teoria della conoscenza, quello cartesiano, visto in rapporto alle sue fonti (Scoto, Tommaso e Suarez) e ai suoi contrastanti sviluppi (attraverso l'esame di paradigmi assai diversi, quello di Malebranche e quello di Spinoza). Emerge tuttavia un tratto che ci riporta, come nota l'autrice, a un aspetto importante delle valutazioni espresse da Maritain: questi aveva intitolato Descartes o l'incarnazione dell'angelo il capitolo cartesiano di Trois réformateurs, muovendo appunto al filosofo francese il rimprovero di trasformare l'essere umano in angelo, cioè di applicare alla conoscenza umana dell'infinito, dunque di Dio, quei requisiti che in ambito tomistico erano stati piuttosto riservati alle creature finite immateriali (gli angeli), essendo inteso che il sapere umano, ben definito nei suoi limiti creaturali (Tommaso) e sostanzialmente empiristici (Aristotele), sarebbe stato invece incapace di elaborare un'idea così "positiva" e in fondo "autonoma" di un oggetto tanto elevato, anzi infinitamente elevato, come Dio.
Se nell'angelismo Maritain aveva trovato "la più profonda intenzione spirituale e metafisica del pensiero" di Cartesio, Scribano, con ben altra finezza, dimostra che proprio l'adozione di quel modello conoscitivo la tesi cartesiana dell'innatismo aveva infine trovato la sua più convincente fondazione metafisica. Proprio perché è capace di un contenuto innato corrispondente all'infinità divina, la mente umana (come già prima quella angelica in Tommaso) assume in metafisica uno statuto autonomo, autosufficiente e autoconsistente, che non ha più bisogno della partecipazione all'intelletto divino per cogliere la verità, come avveniva invece nella tradizione agostiniana e come avverrà ancora dopo Cartesio nelle tesi malebranchiane sulla visione in Dio. Avvicinandosi all'angelo, affrancandosi dal limite conoscitivo che Tommaso riteneva connaturale alla condizione creaturale umana, per di più aggravata dal peso del peccato originale, la mente umana giungeva in Descartes a "laicizzarsi" e a "secolarizzarsi", precisamente nel significato che Maritain (come Wojtyła dopo di lui) avrebbe deprecato. In questa storia di angeli che non sono "beati" (questi ultimi vedono "in Dio") e di umani che si fanno simili ai primi ma non ai secondi, è celato uno dei tratti decisivi della nascita del pensiero moderno ed è gran merito di questo libro averlo rivelato con dovizia e penetrazione di precise trame testuali.
Un altro punto fondamentale sul quale lo studio di Scribano reca un contributo importante e originale è la questione del dubbio "metafisico" o "iperbolico" delle Meditazioni (l'ipotesi lì formulata che Dio possa averci creato in modo tale da ingannarci sistematicamente anche in quelle conoscenze che ci appaiono le più evidenti e indubitabili). Questa ipotesi e il superamento della medesima attraverso la dimostrazione dell'esistenza di un Dio perfetto e quindi verace costituiscono una buona chiave di lettura per distinguere tra l'indubitabilità psicologica e l'indubitabilità metafisica: solo la seconda costituirebbe il fondamento adeguato a reggere l'edificio delle scienze e della filosofia. Tra gli interpreti, si è discusso a lungo se dietro l'ipotesi del Dio onnipotente e "ingannatore" stesse la dottrina (che Descartes aveva formulato nella corrispondenza con Mersenne fin dal 1630) della libera creazione delle verità eterne. Rispetto a queste letture, l'autrice sottolinea opportunamente che nelle Meditazioni non solo Descartes non menziona tale dottrina, ma che anzi ne prescinde, con la conseguenza che la metafisica esposta nelle Meditazioni non sarebbe propriamente quella dell'autore, ma piuttosto quella che il medesimo avrebbe voluto indurre nel protagonista dell'opera: quest'ultimo sarebbe dunque non Descartes in sua propria persona, bensì il "meditatore", condotto passo passo ad abbandonare i pregiudizi del senso comune e la loro trasposizione filosofica (l'aristotelismo) per abbracciare infine una filosofia capace di reggere con assoluta certezza il valore della conoscenza umana. Scribano dimostra che ciò che Dio è chiamato a garantire nelle Meditazioni non è la tenuta delle leggi logiche o delle verità matematiche (come nell'ipotesi enunciata a Mersenne della libera creazione divina), bensì più esattamente la loro conoscenza da parte della mente umana.
A partire da questa distinzione tra l'autore (Descartes) e il suo personaggio (il "meditatore") discendono effetti a cascata: il dubbio della I Meditazione sarebbe "precartesiano" (e infatti nella lettura di Scribano viene ricavato pari pari da Suarez), ma anche il Dio delle Meditazioni (e la teodicea dell'errore che in essa viene sviluppata) sarebbero parimenti "precartesiani". Nell'opera dominerebbe "una metafisica senza creazione delle verità eterne". L'ipotesi è affascinante, ma comporta anche conseguenze di non poco momento: potremmo dire che le Meditazioni diventerebbero un'opera in gran parte "essoterica", commisurata ai pregiudizi e alla vulgata metafisica e teologica del contesto, con la marcata preoccupazione di non scioccare eccessivamente il lettore imbevuto di una sorta di koiné ancora largamente scolastica, mentre solo nelle lettere (e qualche accenno nel Mondo, altra opera sottratta alla circolazione) ci troveremmo di fronte alla vera ed "esoterica" metafisica cartesiana.
Un altro aspetto che colpisce il lettore di questo libro è l'estrema predominanza dello sfondo scolastico e tardoscolastico per la comprensione dell'opera cartesiana: gli interlocutori dell'autore delle Meditazioni sono decisamente Tommaso, Scoto, Suarez, come documentano anche le "cripto-citazioni" dell'uno o dell'altro che Scribano ha scoperto e puntualmente documentato. Sin dai tempi di Gilson questa tendenza ha guadagnato molto terreno negli studi cartesiani, sia in Francia che altrove, e ha contribuito sempre più a mettere in luce la base propriamente metafisica del pensiero cartesiano. Resta comunque aperto il problema costituito da una strategia complessa, come quella di Descartes, che sa unire ai "fondamentali" del pensiero metafisico la profonda consapevolezza, e non solo esteriore, delle "novità" prodotte dalla doppia cesura della scienza moderna e del Rinascimento, con tutta la sua feconda carica antiscolastica e malgrado la generosità caoticità che tanto lo irritava.
Gianni Paganini
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